Per almeno un anno le probabilità di una nuova infezione in chi si è già ammalato di Covid sono basse, dell’ordine di 1 su 300.
Mentre quelle di incorrere in una forma grave sono almeno 100 volte inferiori.
L’effetto protettivo di una precedente infezione, inoltre, sembra ridursi di poco con la variante Omicron.
Sono queste le conclusioni di uno studio condotto da ricercatori delle università di Bologna e Ferrara e della Asl di Pescara pubblicato su medRxiv, piattaforma che rende disponibili ricerche prima della revisione da parte comunità scientifica. Lo studio ha analizzato i dati della pandemia in Abruzzo, dalla comparsa del virus, a inizio 2020, fino a metà gennaio. In totale 152.986 abruzzesi in questo periodo si sono ammalati di Covid-19.
Usando il codice fiscale dei pazienti come filo per muoversi tra diverse fonti di dati, i ricercatori hanno analizzato 84.907 casi di Covid-19 verificatesi fino a novembre 2021. In questo campione, tra inizio dicembre e metà gennaio, sono state registrate soltanto 260 reinfezioni, lo 0,31%; in soli due casi la reinfezione ha portato al ricovero e in uno al decesso. Nello stesso periodo in Abruzzo si sono verificate circa 65 mila infezioni da SarsCov2.
Secondo lo studio, i tassi di nuove infezioni erano bassi anche in chi non si era vaccinato dopo aver contratto Covid-19 (0,5%), anche se le probabilità in questa fetta della popolazione erano doppie rispetto a chi aveva fatto due dosi di vaccino (0,25%).
“Ci si aspettava un calo nel tempo dell’immunità, invece abbiamo osservato che la protezione si mantiene stabile in media per 12 mesi, in alcuni casi anche per 22”, spiega all’Ansa il coordinatore dello studio Lamberto Manzoli, dell’Università di Bologna che anticipa come nei giorni scorsi il gruppo di ricerca abbia effettuato una nuova analisi dei dati per concentrarsi sull’impatto di Omicron.
“È confermata l’efficacia dell’immunità conferita dalle precedenti infezioni – continua Manzoli – I tassi di reinfezioni sono passati infatti da 0,31% a 0,50%”.
Non sembrano inoltre esserci variazioni nemmeno nel rischio di malattia grave, anche se in tal caso i dati devono essere ancora sottoposti a ulteriori analisi.