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Sanità: carenza personale nelle carceri

Numeri drammatici per alcune strutture

«Infermieri italiani impegnati nelle nostre carceri: si parla fin troppo poco di loro, e allora cogliamo l’occasione di un significativo report che emerge dalle denunce raccolte, negli ultimi mesi, dagli stessi malcapitati protagonisti.
Lo facciamo con l’intento di scrollare, una volta per tutte, la polvere sulla delicata situazione e soprattutto sugli allarmanti dati legati a carenze e difficoltà con le quali convivono quotidianamente gli operatori sanitari, pochi rispetto al fabbisogno dei detenuti, che annaspano ogni giorno nella delicatissima e difficile realtà dei nostri istituti di pena.
Non corrispondono del tutto al vero, ne siamo certi, innanzitutto, quei contenuti che raccontano, legati spesso alla disinformazione del web, di professionisti che accetterebbero di lavorare nelle carceri al loro primo incarico, come fosse qualcosa di forzato.
L’infermiere, anche se spesso giovane e magari inesperto, possiede qualità umane e competenze specifiche non indifferenti, che derivano dal suo solido percorso di studi, ma è troppo spesso lasciato alla sbaraglio in realtà dove, come accade nella sanità pubblica, paga in prima persona lacune strutturali, che diventano gioco forza veri e propri macigni da sorreggere unicamente sulle proprie spalle».

Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

I dati indicano chiaramente che siamo di fronte, per certe realtà carcerarie, ad una sproporzione enorme: professionisti che devono affrontare la super affollata realtà dei nostri detenuti e sono costretti, in strutture di massima sicurezza come il carcere di Opera (Milano), a fronteggiare le problematiche di salute, nonché psicologiche (dipendenze, autolesionismo, aggressività), di ben 600 reclusi, laddove gli infermieri sono addirittura rimasti solo in 31, rispetto ai 56 previsti, di per sé davvero già insufficienti.

Turni a volte dove due soli infermieri, udite udite, devono occuparsi dei 600 detenuti!
Ma non va meglio a San Vittore (17 infermieri), a Bollate, che ha appena 8 infermieri, o in realtà come il Beccaria, dove ci sono le complesse problematiche dei minorenni a fronte di due 2 soli infermieri.

I numeri non si esauriscono qui, continua De Palma, dal momento che le direzioni carcerarie rendono noto di dimissioni a raffica, negli ultimi mesi, da parte del personale sanitario che non si sente adeguatamente tutelato, in particolare medici, alle prese con tentate aggressioni, continui tentativi di suicidi da parte dei detenuti e disagi mentali di questi ultimi.

Seguendo il trend negativo della carenza della sanità pubblica, naturalmente, i professionisti che si allontanano non vengono adeguatamente rimpiazzati. E non è facile, in queste situazioni, convincere altri colleghi ad accettare incarichi così delicati, dove gli operatori sanitari sono così esposti e così poco tutelati.
Di conseguenza, gli infermieri, come detto, spesso giovani e ai primi incarichi, restano soli e ingabbiati in tunnel bui, pieni di ostacoli, che diventano per loro insuperabili, nonostante gli sforzi profusi, senza un indispensabile supporto da parte delle istituzioni.

Urge allora un intervento del Ministro degli Interni, per comprendere realmente cosa stia accadendo nelle nostre carceri.

Chiediamo ulteriori report dettagliati, anche nelle altre case di detenzione italiane, che possano mettere in luce le drammatiche realtà dei fatti e che rappresentino una forma di tutela, sia per gli operatori sanitari impegnati ogni giorno a contatto con i detenuti, sia per gli stessi soggetti che stanno scontando una pena, bisognosi di essere supportati da personale sanitario numericamente adeguato ai propri fabbisogni, conclude De Palma.

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