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“1° maggio: Pace, Lavoro e Giustizia Sociale!”

La CGIL sulla festa dei lavoratori

COMUNICATO STAMPA

L’opposizione alla guerra e la costruzione della pace sono gli elementi fondativi e qualificanti del movimento delle lavoratrici e dei lavoratori. Da qui vogliamo partire oggi che è la Festa dei Lavoratori, senza retorica o infingimenti.

La guerra è la negazione dei diritti, è il sacrificio umano inaccettabile, è occultare l’emancipazione delle classi lavoratrici ed il loro riscatto.

Ciò che nega la guerra è la verità, quella verità scritta nelle poche righe volute da madri e padri costituenti nell’art.11 della Costituzione. L’Europa, uscita dai conflitti mondiali, scelse il “mai più”, scelse la strada del dialogo e della deposizione delle armi per sempre. La richiesta era di cercare la pace, sempre, anche quando le guerre sono lontane, perché la guerra rende inutile quel sangue versato di cui ricordiamo le vittime e gli eventi, disperde l’eredità che uomini e donne ci hanno lasciato e che noi siamo chiamati a custodire, affinché quel “mai più” diventi patrimonio di una intera collettività, presente e futura.

Paolo Treves, riferendosi all’art 11 della Carta Costituzionale scrisse: “noi auspichiamo che l’Italia desse l’esempio con questo articolo di quel futuro diritto internazionale e ancor di più direi, costume democratico internazionale, che desideriamo possa un giorno reggere un mondo migliore e più giusto.”

A sua volta, Ugo Damiani volle chiarire la portata del cambiamento in corso: “riconosciamo che tutti i contrasti, che qualsiasi contrasto per quanto grave, per quanto aspro, può essere risolto con il ragionamento, perché il ragionamento rappresenta l’arma più poderosa dell’uomo”.

Madri e padri costituenti, quindi, vollero marcare il distacco definitivo e netto con il regime fascista, vollero ripudiare quell’ideologia fondata sulla violenza e sull’esaltazione della forza, sulla costrizione e sulla deprivazione e costruire una nuova aspirazione comune con gli altri popoli per un mondo di pace, superando definitivamente i nazionalismi che avevano portato ai conflitti. Come se le vibranti parole di Bertolt Brecht “il nazionalismo dei grandi signori giova ai grandi signori. Il nazionalismo della povera gente giova anch’esso ai grandi signori” dovessero continuare a palpitare tra le righe scritte nella Costituzione.

Abbandonati nazionalismi e imperialismi, nel nome dei quali si produssero vittime, arresti, assassini, persecuzioni di donne e uomini, si considerò la solidarietà e la giustizia tra le nazioni come unica condizione per la pace, in una nuova convivenza tra i popoli. Forze politiche, di diverso orientamento e cultura, si trovarono d’accordo nell’introdurre nel testo costituzionale, e nel dare rilievo, al principio pacifista, cercando di formularlo nel modo più risoluto e forte possibile. Così, nella stesura finale dell’art.11, l’Assemblea Costituente ricercò una modalità per mettere nero su bianco la supremazia del diritto sulla guerra, la sua predominanza; tra i vari termini, quali “rinuncia” o “condanna”, scelse la parola “ripudia”. Ripudia risultò il termine più appropriato per manifestare la volontà di togliere verità e valore allo strumento della guerra, rendendolo sempre giuridicamente illecito.

Meuccio Ruini, Presidente della Commissione Costituzionale, nel rafforzare l’uso del verbo ripudiare utilizzato nel testo, lo definì “accento energico ed implica così la condanna come rinunzia alla guerra”.

Viviamo la nostra quotidianità ascoltando parole e guardando immagini che ci rimandano continuamente alla guerra, al conflitto bellico, come se quelle parole e quelle immagini in sé contenessero l’utilità di renderci consapevoli che la guerra è una conseguenza naturale dei comportamenti umani, tradendo in questo modo il lavoro svolto da madri e padri costituenti. Invero, con la Costituzione, si volle costruire un radicale cambiamento, ponendo fuori dalla cultura italiana il ricorso alla guerra come strumento di risoluzione delle controversie.

Oggi riaffermiamo la necessità di una immediata riduzione delle spese militari ed una smilitarizzazione delle politiche estere ed economiche del nostro paese, affinché si torni a percorrere la via maestra della pace come bene supremo dei popoli. Armamenti e missioni di pace (sic!!!) sono ricorrenti anche negli atti del Parlamento Italiano, manifestando così tutta l’ipocrisia di chi ostacola l’affermazione della pace come elemento fondante dei diritti umani.

Non possiamo più restare inermi davanti a genocidi e massacri di bambine e bambini, donne e uomini incolpevoli, che subiscono scelte di una classe dominante che non conosce il significato della parola “pace”. È tempo di agire, è tempo di riprendere il coraggio che donne e uomini, usciti dalla guerra attraverso la lotta di liberazione, hanno tenacemente riaffermato lasciandoci in testamento la Carta Costituzionale.

Come il fascismo tradì l’Italia con la guerra, fece lo stesso togliendo all’Italia il suo carattere di paese del lavoro, delle lavoratrici e dei lavoratori, togliendo loro libertà e dignità, togliendo alle persone vulnerabili, oppresse, diseredate la possibilità di affacciarsi alla vita sociale attraverso la partecipazione ed il protagonismo delle classi subalterne, come, d’altronde, accadde alle donne in quanto tali, limitando il progresso e la strada verso la giustizia sociale.

Della prevaricazione del regime ne diete puntuale definizione Lelio Basso: “il fascismo aveva favorito scandalosamente i “padroni del vapore”, i grandi magnati dell’industria e della finanza, ne aveva imposto i patti del lavoro, aveva imposto i salari e gli stipendi, aveva aggravato e legalizzato lo sfruttamento”.

Da qui la cesura definitiva con il fascismo attraverso la Carta Costituzionale, con uno strumento giuridico che è la vera “pedagogia degli oppressi” che si sostanzia nell’art. 3: nel riconoscere una democrazia formale, che desse la piena ed inviolabile uguaglianza a tutte le donne e gli uomini liberi, ne riconobbe i diritti fondamentali e la potenza liberatrice del diritto nella sua forma rivoluzionaria che si rivela con la democrazia sostanziale. Ed è proprio nella parola cittadino che si afferma la differenza con altre costituzioni, la libertà che ha un senso individualistico viene elevata ad un senso di responsabilità verso gli altri, consegnandogli un valore collettivo su cui si fondano i diritti sociali.

Il godimento dei diritti non si raggiunge con il loro semplice riconoscimento, ma è lo stato che agisce nella vita sociale, economica e politica affinché sia reso concreto. Per esprimere al meglio il concetto sul ruolo dello Stato ci affidiamo alle parole di Mauro Scoccimarro: “Nel nuovo stato democratico i lavoratori tutti, del braccio e della mente, devono sentire nello stato la tutela dei loro diritti come non è ancora mai avvenuto in passato. Solo così lo stato potrà avere quella larga base popolare che in Italia non ha mai avuto.”

È con la Carta Costituzionale del 1948 che la Repubblica, fondata sul lavoro, esprime una idea di stato in cui ciascuno partecipi con la propria opera alla vita effettiva di tutti, e questa funzione collettiva fatta nell’interesse comune è appunto il lavoro. Dignità e lavoro sono i nuovi due punti di avvio della costituzione, capaci di dare nuovo slancio al significato dei fondamenti della libertà e dell’uguaglianza, collocandoli in uno spazio nel quale assume rilevanza primaria la condizione reale e materiale della persona, per ciò che la caratterizza nel profondo, ossia la dignità, e per quello che la colloca nelle relazioni sociali attraverso il lavoro. La nuova Carta diviene la molla che assegna rilevanza giuridica alle battaglie sociali, alle richieste che provengono dal movimento delle lavoratrici e dei lavoratori, dai deboli, dai subalterni. Diventa la chiave di volta per modificare gli equilibri esistenti, cambiare i rapporti di forza all’interno della società. Il lavoro che finalmente conquista la propria maggiorità e che permea di sé stesso gli istituti della nuova repubblica.

Lelio Basso auspicava con l’uscita dal fascismo che “solo se noi otterremo che tutti siano messi effettivamente in grado di partecipare alla gestione economica e politica della vita collettiva, noi realizzeremo veramente una democrazia.”

Secondo la definizione di Giorgio Agamben “Pensare significa ricordarsi della pagina bianca mentre si scrive o si legge” , pensare vuol dire ricordarsi della materia, di quella materia di cui è fatto un libro mentre si scrive o si legge; la pace, la democrazia, la partecipazione, la giustizia sociale, l’uguaglianza, la solidarietà, la dignità ed il lavoro, sono la materia di cui è composta la nostra Costituzione e quando ci troviamo a leggerla dobbiamo sempre tener presente che quella materia rappresenta principi e valori fondativi della nostra comunità.

Riprendiamoci il nostro ruolo di artefici del cambiamento, di protagonisti della storia, perché solo il movimento delle lavoratrici e dei lavoratori continua ad essere il soggetto portatore dei valori costituzionali, perché la condizione di classe genera unità, sorellanza e fratellanza, coraggio, solidarietà, capacità di ribellarsi alle ingiustizie.

Pace, Lavoro, Giustizia sociale” sono i temi scelti per il 1° maggio 2024, che ci consentono, con coerenza ideologica, pratica e programmatica, di continuare a pensare che la costruzione di un mondo di pace e di giustizia necessita di tutta la forza storica e la capacità di mobilitazione del movimento dei lavoratori e che da esso possa risorgere una società migliore, più uguale e più giusta.

Anche in questa epoca noi continuiamo a pensare ed agire seguendo gli insegnamenti di Giuseppe Di Vittorio: “nello stesso giorno, i lavoratori di tutti i paesi, di tutte le razze, di tutte le religioni, lasciano contemporaneamente il lavoro, si tendono idealmente la mano e riaffermano la comunità dei propri interessi di classe, delle proprie aspirazioni al progresso, alla pace, al benessere. All’emancipazione sociale, alla conquista di una società più giusta che affratelli nel lavoro tutti i popoli e bandisca per sempre la guerra dalla faccia della terra.”

Viva le lavoratrici e i lavoratori!

Viva il 1° maggio!

Viva la CGIL!

Il Segretario Generale della CGIL della Provincia dell’Aquila

Francesco Marrelli

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