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Suicida in carcere, l’avvocato: “Colpa dello Stato”

Condannato a 18 anni per il delitto Rapposelli, era malato

“Santoleri è stato ammazzato dallo Stato italiano, dalle lungaggini processuali e dall’incuria ed inadeguatezza dell’Istituto carcerario”. Così l’avvocato dell’uomo, Federica Di Nicola, dopo che il suo assistito, Giuseppe Santoleri – condannato in via definitiva a 18 anni di reclusione, si è tolto la vita in carcere. L’uomo, insieme con il figlio Simone aveva ucciso e poi occultato il cadavere dell’ex moglie, la pittrice Renata Rapposelli. Il delitto avvenne nel 2017 nella casa dei Santoleri in Abruzzo, a Giulianova (Teramo), ma il corpo della donna di 64 anni fu ritrovato nelle Marche, nel fiume Chienti a Tolentino.
Da tempo malato, il 74enne aveva chiesto – finora invano – di poter essere trasferito in una struttura alternativa al carcere.
Detenuto nell’area ‘protetta’ della casa circondariale teramana di Castrogno, secondo i primi accertamenti si sarebbe strangolato con l’aiuto della struttura che circondava il suo letto. La Procura di Teramo ha aperto un’indagine sull’accaduto: è stata disposta l’autopsia.
“Era un uomo malato – prosegue la Di Nicola – anziano sfinito da un vissuto logorante. Un uomo le cui condizioni di salute si sono appalesate incompatibili con la detenzione carceraria. Per questo ho lottato per ottenere la concessione di una misura alternativa alla detenzione, con istanza depositata il 18 gennaio scorso presso il Tribunale di sorveglianza dell’Aquila: avevo trovato una struttura in Selva di Altino (Chieti) idonea a garantire a Giuseppe cure necessarie ed adeguate. Il Tribunale di sorveglianza, noncurante delle precarie condizioni di salute del Santoleri ha disposto ben tre rinvii di udienza (primo aprile; 6 giugno e 18 luglio). Il mio assistito mi aveva preannunciato che non avrebbe aspettato l’udienza del 18 luglio, ma avevo cercato di confortarlo e rassicurarlo, promettendogli che sarebbe stato l’ultimo rinvio”.
“Ho tentato di accelerare i tempi- prosegue l’avvocatessa – rivolgendomi anche al garante dei detenuti, il quale ha ovviamente omesso di riscontrare le mie richieste, ho sollecitato il carcere a una maggiore attenzione, ho cercato di muovere a pietà i giudicanti, ma tutto ciò è stato inutile, perché Giuseppe non ha avuto la forza di aspettare. Mi sento fortemente affranta e delusa, come donna e come avvocata, tutti i miei tentativi di aiutare Giuseppe si sono rivelati inutili”.

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