“I social hanno creato parametri di notorietà completamente diversi rispetto al passato. Un tempo i modelli erano attori di Hollywood o grandi cantanti, figure inarrivabili. Oggi, invece, esistono tante microsfere che riescono a riunire migliaia e talvolta centinaia di migliaia di follower, e questo fenomeno è difficilmente regolabile con delle norme, perché sarebbe inefficace. Ci troviamo di fronte al riflesso di un cambiamento profondo nei valori della società”. A parlare con AGI è Marcello Foa, giornalista, ex presidente della Rai e docente di Comunicazione alla Cattolica, che analizza un fenomeno ormai impossibile da ignorare. Il caso di Rita De Crescenzo, influencer napoletana capace di attirare migliaia di persone a Roccaraso con un semplice video, non è un episodio isolato, ma la conferma di un sistema che sfugge a qualsiasi regolamentazione, in cui la viralità ha sostituito qualsiasi altro criterio di rilevanza.
“Ormai ci sono diverse categorie di influencer”, afferma Foa. “Ci sono quelli che lavorano con i brand, che producono contenuti di valore. Ma ci sono anche quelli che diventano famosi solo per la loro capacità di intrattenere, di generare reazioni. Non è tutto negativo: i social possono dare visibilità anche a persone con competenze reali che altrimenti resterebbero sconosciute. Ma il problema è che i modelli più seguiti spesso non sono i migliori”.
Un potere che si muove al di fuori di qualsiasi regolamentazione, ma che ha ormai sostituito i media tradizionali nell’orientare comportamenti e scelte collettive.
“I social più problematici sono quelli che traggono origine da programmi come il Grande Fratello”, aggiunge Foa. “La televisione ha abituato il pubblico a indulgere nel racconto privato, nella spettacolarizzazione dell’intimità, in una narrazione edonistica ed egocentrica. Ora la televisione viene guardata meno dai giovani, che invece passano ore sui social e cercano modelli che riflettono questa subcultura della spettacolarizzazione”.
A confermare questa lettura è Sara Zanotelli, presidente dell’Associazione Italiana Content & Digital Creators (AICDC), che con l’AGI invita a una riflessione più ampia sulla responsabilità nella comunicazione digitale. “Eventi come questo dimostrano quanto sia fondamentale andare avanti a lavorare e consolidare un movimento di consapevolezza ed educazione digitale, per poter accompagnare i creator e non solo verso una maggiore consapevolezza del loro impatto. Soprattutto perché il mercato è composto da professionisti del settore, che rispettano regole e lavorano in modo etico, e chi invece sfrutta la viralità senza considerare le conseguenze delle proprie azioni”.
Concetti ribaditi anche dal vicepresidente dell’associazione, Mauri Valente, che sottolinea come la stessa spontaneità che alimenta questi fenomeni ne renda complessa la gestione. “Il concetto di autenticità è importantissimo, ma deve essere accompagnato dalla consapevolezza del pubblico che si ha di fronte. Ci sono influencer che trasmettono contenuti di valore, ma altri che non si rendono conto dell’impatto delle loro parole e azioni. Questo richiede un’educazione che deve partire sia dagli stessi content creator, sia dal pubblico che consuma questi contenuti ”.
Un fenomeno che non è nuovo, ma che oggi, con l’accelerazione data dai social, ha assunto dimensioni difficilmente prevedibili.
“Figure di questo tipo esistono su Internet da sempre”, osserva Valente. “Già dieci, quindici anni fa abbiamo visto emergere fenomeni come Andrea Diprè o Giuseppe Simone, che attiravano pubblico non per un vero talento, ma per la loro eccentricità e per la capacità di suscitare reazioni. Il punto è capire perché oggi, con i social, questi fenomeni hanno un impatto così profondo”.
Un impatto che non si esaurisce nella mera esposizione mediatica, ma che può tradursi in effetti reali, tangibili, sulla società e sui comportamenti collettivi. “Le case discografiche negli anni hanno firmato contratti con ‘fenomeni del web’, la televisione ospita fenomeni trash: il folklore attira, il cringe affascina. Ma questo non significa che sia privo di rischi”, aggiunge. “Il sistema stesso premia i contenuti che generano reazioni, non importa se positive o negative”.
Se un tempo i media tradizionali avevano un ruolo di filtro, oggi è l’algoritmo a determinare cosa viene visto e cosa no.
“TikTok ormai è il social della Generazione Z, ed è uno strumento potentissimo, capace di dare casa a nuove figure legate alla Divulgazione, al mondo letterario come i booktoker. Ma proprio per questo è essenziale che i creator imparino a usarlo con consapevolezza. La piattaforma mette a disposizione strumenti di controllo, ma sta ai content creator saperli usare nel modo giusto”, dice Zanotelli.
Il caso Roccaraso dimostra ancora una volta quanto gli influencer possano catalizzare attenzione e mobilitare le persone, spesso con una rapidità che istituzioni e media tradizionali faticano a eguagliare. Un potere che, in assenza di regole condivise e di una maggiore consapevolezza, può sfuggire facilmente al controllo. ‘Finché il successo sarà misurato solo dai numeri, saranno sempre gli influencer più estremi e spettacolari a dominare la scena’, conclude Foa. ‘Ma è possibile e necessario promuovere un uso più responsabile dei social, che valorizzi contenuti di qualità senza penalizzare la creatività e l’autenticità.