Sono arrivati a bordo di 4 fuoristrada, hanno piazzato ordigni in una moschea sufi nel Sinai, li hanno fatti esplodere e hanno iniziato a sparare sui fedeli. Compiendo una vera e propria carneficina che ha lasciato a terra almeno 235 morti e ha ferito più di 100 persone in quello che per ora è il più sanguinoso attacco che ha colpito l’Egitto. A essere travolto dalla furia terroristica è stato un luogo di culto sufi, un orientamento mistico dell’islam che lo Stato islamico considera apostata ed eretico, nei pressi della cittadina di Bir al-Abd. Nessuno ancora ha rivendicato ma i sospetti si puntano sull’Isis. I jihadisti – secondo ricostruzioni ancora confuse in serata – hanno aperto il fuoco sui circa 300 fedeli riuniti nella moschea per la preghiera del venerdì con armi automatiche ma anche lanciarazzi. Foto mostrano anche segnali di un’esplosione all’interno del luogo di culto di Al Rawdah che il commando ha assediato, bloccando le vie di fuga dei fedeli terrorizzati, sparando anche contro le ambulanze accorse. Un attacco pianificato, mirato probabilmente anche contro il presidente egiziano, Abdel Fattah Al Sisi, che non ha tardato a dirsi pronto ad una risposta ‘brutale’.
In un drammatico discorso televisivo alla nazione Sisi ha annunciato una risposta ancora più forte nella guerra che l’Egitto sta compiendo contro il terrorismo per conto di tutto il mondo. E già in serata ha ordinato i primi raid aerei e colpi di artiglieria che hanno colpito di due camion che trasportavano almeno 15 persone «coinvolte nell’attentato». Nell’ambito di quella che è già stata ribattezzata ‘operazione-vendetta per i martiri’, c’è da attendersi quindi una recrudescenza delle operazioni militari che vengono condotte con frequenza nel nord della penisola di un Egitto già in stato d’emergenza dopo gli attentati alle chiese cristiane dello scorso aprile. L’attentato in serata non era stato ancora rivendicato ma l’Isis ha attaccato la comunità sufi in passato decapitando l’anno scorso tra l’altro un prelato di spicco, quasi centenario e cieco, Suleiman Abu Heraz, e un ‘maestro’ di dottrine islamiche. Il massacro di oggi, che si avvicina a quello della strage degli Al Shabaab a Mogadiscio, ha fatto scattare una serie di attestati di solidarietà con l’Egitto e la sua lotta allo Stato islamico.
Il Presidente Sergio Mattarella ha inviato a Sisi un messaggio in cui assicura che «l’Egitto potrà contare sempre sul determinato sostegno dell’Italia».
«Non è stato solo un attentato terroristico ma una strage agghiacciante. I nostri pensieri vanno a quella comunità», ha detto il premier, Paolo Gentiloni, in linea con una miriade di atti di solidarietà partiti dall’Onu, dalle maggiori cancellerie occidentali fino ad includere l’edificio del comune di Tel Aviv illuminato con i colori della bandiera egiziana.
Papa Francesco si è dichiarato «profondamente addolorato per la grande perdita di vite umane» e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha definito l’attentato un attacco «orribile e vile». La tribù Al-Sawarka, teatro della strage, aveva annunciato la propria partecipazione alla lotta contro l’Isis a fianco dell’esercito nel maggio dell’anno scorso: un elemento che si aggiunge alle analisi sui moventi dell’attentato. Concentrato soprattutto nell’angolo nord-est del Sinai, al confine con la Striscia di Gaza, da oltre quattro anni e mezzo è in corso un conflitto a bassa intensità tra forze di sicurezza egiziane e terroristi dello Stato islamico. A combattere sono gli ex “Ansar Beit el-Maqdes”, i “Partigiani di Gerusalemme”, il principale gruppo jihadista egiziano basato nella penisola e ribattezzatosi “Stato del Sinai” nel quadro di un’alleanza affiliazione con l’Isis annunciata nel novembre 2014.
Fonte ANSA
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