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Incendio Casinelli: esposto dell’Associazione Antimafia Caponnetto

Esposto indirizzato alla Procura della Repubblica dell'Aquila

L’Associazione Antimafia “Antonio Caponnetto” ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica dell’Aquila sull’incendio al Centro Riciclo Casinelli.

Questo il testo integrale dell’esposto a firma del segretario nazionale Elvio Di Cesare.

“Il gravissimo fenomeno degli incendi in impianti di rifiuti è stato recentemente oggetto di indagini approfondite condotte dalla Commissione bicamerale di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati, i cui risultati sono stati sintetizzati in una relazione finale, pubblicata sul sito della Commissione.

Rinviando alla lettura del documento, appare opportuno, in questa sede, limitarsi ad evidenziare in primo luogo il dato numerico: più di 250 incendi in impianti di rifiuti in meno di tre anni, con un vertiginoso aumento da gennaio 2015 ad agosto 2017. Cui si aggiungono almeno altri successivi 150 incendi come documentato sul suo blog dall’onorevole Claudia Mannino.

Ma quali sono, secondo la Commissione, le cause di un fenomeno così rilevante ed in deciso aumento? Trattasi di incendi accidentali, colposi o dolosi?

Dalle risposte delle varie procure della Repubblica alla Commissione bicamerale, risulta che almeno un terzo di questi incendi non è stato neppure segnalato alla magistratura; ma, anche quando segnalazione vi è stata, il tutto si è generalmente concluso con l’archiviazione (quasi sempre perché ignoti gli autori) e solo nel 13% dei casi si è esercitata l’azione penale; non tanto però per il delitto di incendio, doloso o colposo (solo 5 casi), quanto − ed è significativo− per altri reati, di tipo ambientale, derivanti da irregolarità nella gestione degli impianti.

Ed è altrettanto significativo ricordare che, in proposito, Roberto Pennisi, magistrato della Direzione generale antimafia, ha dichiarato che «l’autocombustione non esiste» e che dietro questi incendi «vi sono solo interessi criminali» in quanto «si brucia per coprire altri reati».

Del resto, sempre la Commissione bicamerale ha evidenziato tra le cause del fenomeno «la possibilità, determinata da congiunture nazionali e internazionali, di sovraccarico di materia non gestibile, che quindi dà luogo a incendi dolosi “liberatori” »; richiamando la circostanza che dal 2017 la Cina ha imposto un drastico giro di vite alle importazioni di rifiuti, specie italiani, chiudendo oltre seicento aziende per avere importato rifiuti non adeguatamente trattati e vietando la importazione di una serie di rifiuti solidi destinati al riciclo in quel paese; soprattutto con riferimento ai rifiuti di imballaggio in plastica ed ai rifiuti cd. “plastica e gomma”, che prima trovavano collocazione, spesso “bonaria”, nei Paesi asiatici.

Ed è ancora più significativo, a questo punto, evidenziare che molti degli impianti andati a fuoco erano di supporto alla raccolta differenziata ed erano gestiti o, comunque, in rapporti commerciali da e con soggetti già indagati o condannati per reati relativi alla violazione della normativa sui rifiuti: in particolare per il delitto di traffico illecito.

Così come spesso ricorre la circostanza che si trattava di impianti già oggetto di incendio in precedenza o di impianti per cui erano in programma o in corso controlli da parte delle autorità competenti.

Appare, quindi, fondato il sospetto che buona parte di questi incendi servano a risolvere situazioni di illegalità divenute ingombranti o pericolose per le stesse imprese andate a fuoco.

Tutto ciò premesso

Si chiede a questa DDA di voler espletare tutti gli approfondimenti investigativi al fine di evidenziare eventuali ipotesi di reati di competenza.

Si chiede di essere avvisati di eventuale richiesta di archiviazione ai sensi dell’art. 408 comma 2 c.p.p., nonché ai sensi dell’art.406 c.p.p.”

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