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A lezione di montagna sicura: a Trasacco il convegno

Provare un amore sincero, ma anche una sana paura della montagna. Capire che "se si vuole sfidare la montagna, al massimo bisogna puntare al pareggio". Ieri pomeriggio, l'istruttore Cai di Alpinismo Fabrizio Fracassi ha svelato i segreti del giusto approccio con le vette, a poche ore di distanza dall'anniversario del dramma mai scordato del Velino.

Esiste un tempo per ogni cosa. C’è il tempo dell’esplorazione, dell’avventura e del coraggio. E poi c’è il tempo di fermarsi a riflettere e valutare cosa sia meglio fare.

Amici e amanti delle vette, innamorati dell’aria frizzante del primo mattino, del freddo che scalda il cuore e della sveglia all’alba presto: la montagna è un’avventura, un’immersione plurima in un universo dominato la silenzio. La meta di tantissimi che deve essere ambita, è vero, ma mai sottovalutata.

Ieri pomeriggio, a Trasacco, l’istruttore di Alpinismo del Cai “Vallelonga” Coppo dell’Orso Fabrizio Fracassi ha raccontato ai meno esperti e a chi avesse voglia di incominciare a diventare amico dei luoghi della riflessione posti a più di mille metri di altezza, i segreti per nutrire il giusto timore e la giusta attenzione nei confronti della montagna.

Un convegno-lezione, organizzato dal Cai “VALLELONGA” COPPO DELL’ORSO nell’Auditorio “Pietro Taricone” del Comune, per imparare ad avere un buon punto di partenza e un’ottica reale, quando si parla di escursionismo in un ambiente puro, selvaggio e ostico.

L’importante, nel rapporto con la montagna, è riuscire a raccontare, alla fine di ogni discesa, l’impresa che si è fatta – ha detto ieri Fracassi – Oggi – ha continuato – affrontiamo insieme il discorso dei pericoli della montagna, ma sicuramente vi accorgerete che il 99% di questo rapporto con i monti è fatto di piacere. Esiste però una minima parte che dobbiamo destreggiare e che si chiama pericolo“. Un pericolo, ha sottolineato l’istruttore di alpinismo del Clan Alpino Italiano della Valleolonga, che è sempre presente. Il compito di chi sale in quota è quello di “ridurre al minimo i rischi”, ha detto ancora.

“Compito, questo, che è soprattutto e anche del leader, di chi accompagna in montagna ed è il più esperto della compagnia. I pericoli che possiamo incontrare sono di tre tipi – ha proseguito – oggettivi, soggettivi e oggettivi di natura soggettiva”. Da una caduta sassi o da uno smottamento del terreno a causa di una pioggia che è venuta giù precedentemente, all’errato equipaggiamento indossato.

“La caduta sassi è un pericolo di forte impatto purtroppo, tante volte sottovalutato. Se decidiamo di salire fino al Corno Grande e affrontiamo la Direttissima, solitamente la domenica questo punto è un’autostrada piena di persone che salgono e che scendono; qui può essere frequente il tipo di difficoltà della caduta sassi. Il caschetto di protezione, in questi casi, dovrebbe far parte del nostro equipaggiamento da montagna”, ha aggiunto Fracassi.

“E poi ci sono i pericoli soggettivi, anzi sarebbe meglio dire che tante volte la natura è più gentile di noi. I pericoli soggettivi sono maggiori di quelli oggettivi in montagna: si parte dall’equipaggiamento sbagliato e si arriva alla mancanza stessa di un equipaggiamento per affrontare i monti”. Un altro pericolo soggettivo è connesso con la sopravvalutazione delle proprie capacità: “spesso quando si pensa al Gran Sasso, si pensa di raggiungere senza se e senza ma il Corno Grande o il Corno Piccolo, bypassando totalmente tutti i gradini intermedi della scalata; dimenticando, insomma, che per arrivare ad una vetta, è necessario procedere step by step”.

Affrontare la montagna, quindi, attraverso una specie di acclimatamento: capire prima come reagisce il corpo e come reagisce la mente ad ogni livello successivo di salita: “la sfida con la montagna è anche una fatto di adattamento personale”.

Occorre valutare poi la preparazione tecnica e fisica nel gruppo con cui ci si avventura nell’escursione: “leggere le espressioni delle persone – aspetto reso difficile oggi dalla mascherina – leggere i loro comportamenti per avere una panoramica completa delle loro sensazioni ed emozioni, ad esempio – ha poi infine rimarcato Fracassi – proprio il Coppo dell’Orso, che dà il nome a questa sezione locale del Club Alpino, presenta un punto che si trova alla fine, quasi all’arrivo al rifugio, che è veramente molto pericoloso in alcune stagioni dell’anno. Con determinate condizioni del vento, diventa a volte una lastra di ghiaccio. Un punto che si trova distante soli 200/300 metri dal rifugio; senza dei ramponi o una piccozza, si va giù”.

“La scorsa settimana – ha ricordato Fracassi – dei ragazzi sono tornati indietro senza arrivare al rifugio, hanno valutato, in breve, che le condizioni non erano buone, quindi hanno completato la loro personale escursione 200 metri prima di giungere al rifugio stesso, senza toccare la famosa “vetta”, metaforicamente parlando. Ed hanno fatto benissimo”.

La meraviglia della montagna è anche poter godere, tutti insieme, dei tramonti che accompagnano a casa, quando si decide di tornare indietro e scendere a valle. Una lezione, quella di ieri, fondamentale: che insegna a vivere bene la voglia di montagna, ad innamorarsi ogni volta, essendo protetti, lucidi e mai presi alla sprovvista. Quello con la montagna è un rapporto atavico e naturale, ma anche studiato a dovere.

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