La sicurezza dell’acquifero del Gran Sasso torna ancora una volta al centro delle rivendicazioni dell’Osservatorio Indipendente sull’Acqua del Gran Sasso, promosso dalle associazioni Wwf, Legambiente, Mountain Wilderness, ARCI, ProNatura, Cittadinanzattiva, Guardie Ambientali d’Italia, Fiab, Cai, Italia Nostra e Fai che, in un incontro con i giornalisti, hanno sottolineato come a quasi sette mesi dall’incidente dello scorso maggio, quando in quasi tutta la provincia di Teramo fu vietato l’uso dell’acqua proveniente dal Gran Sasso, «non si siano registrati grandi passi avanti verso la sicurezza».
Ed è proprio all’interno della questione sicurezza che, per le associazioni ambientaliste, si pone quella dell’esperimento Sox. Perché, hanno ribadito, «nessuno vuole fermare la ricerca scientifica, ma fino a quando la situazione dell’acquifero del Gran Sasso non sarà messa in sicurezza, il livello di rischio deve essere abbassato e non innalzato». Nel corso della conferenza i rappresentanti delle associazioni hanno evidenziato tutti i ritardi nell’affrontare la questione sicurezza, ritardi che investono tra l’altro la messa in funzione del nuovo spettrometro della Ruzzo Reti, che dovrebbe garantire controlli più accurati ed estesi sull’acqua prima che vada in distribuzione. «L’Arta dichiara di aver aumentato i controlli, ma vengono evidenziate le difficoltà dovute alla mancanza di personale e fondi – hanno continuato le associazioni – Non risulta che sia stato fatto nessun passo avanti verso l’eliminazione delle sostanze pericolose stoccate e utilizzate nei Laboratori, ma anzi si progettano ulteriori interventi con materiale radioattivo e il protocollo firmato per migliorare le procedure di comunicazione in caso di lavori e interventi sotto il Gran Sasso alla prima prova reale è stato disatteso».
Sotto accusa anche l’assenza di nuovi strumenti per gestire eventuali emergenze e l’assenza di informazioni sulle soluzioni da adottare per mettere definitivamente in sicurezza l’acquifero. «Soluzioni a cui, peraltro, starebbero lavorando alcuni degli stessi operatori che hanno già lavorato durante la gestione commissariale – hanno concluso le associazioni – A tal riguardo le informazioni che circolano sembrano portare soluzioni che non garantiscano la separazione dell’intero acquifero, ma al contrario comporterebbero la possibilità che i 700.000 cittadini Abruzzesi possano subire un depauperamento della propria acqua e la potabilizzazione della stessa».
Fonte: ANSA
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