Tra i signori del calcio, sul trono degli uomini di potere, Angelo Di Gregorio è l’esempio in carne ed ossa di lealtà sportiva e perseveranza. Il profilo dell’eroe moderno, dall’animo paziente e generoso, dedito al suo Paterno con lo stesso amore di un padre per il proprio figlio. L’immagine dell’uomo si fonde con quella del presidente, e non è solo questione di ruoli, il carisma del leader silenzioso, sopra le righe per natura, è dote innata e istintiva, dentro e fuori dal campo. I suoi ragazzi con la divisa a strisce sono un pezzo di cuore, un amore condiviso con le donne della sua vita. Stefania, da brava moglie e compagna, è una spalla preziosa, specie nei recenti momenti di forte delusione, quando la ruota del calcio si è divertita a prendersi gioco delle tante speranze coltivate nello spogliatoio. Le tre figlie, Isabella, Lucia e Stella, hanno garantito il sostegno che si darebbe per scontato con gli eredi maschi, colorando di freschezza le domeniche del ‘pallone’. Gli spalti freddi dello stadio sono diventati un caldo focolare domestico, da condividere con gli amici di sempre e tanti cuori nerazzurri.
«Le donne della mia famiglia – si è confidato Angelo Di Gregorio – negli ultimi tempi, hanno preso a cuore la squadra di calcio e mi hanno confortato nei momenti in cui la delusione era troppo ingombrante. C’è da dire, però, che ora ho anche un erede maschio, mio nipote Angelo, che tra l’altro porta il mio stesso nome. Ci sono poi i miei generi, tutti coinvolti in vario modo nella società di calcio; ho molti affetti accanto e tutti sono sempre pronti a dare una mano».
Le ultime due stagioni del Paterno portano il marchio di un destino ormai noto. L’epilogo amaro degli scorsi campionati ha costruito l’idea del presidente ‘triste’, non di certo con la presunzione di confinare a quella delusione la vita e l’umore dell’uomo. La beffa recidiva del fato ha seminato un’amarezza legittima, salvo poi scoprire che, da quel dispiacere, la voglia di strappare alla sorte quell’obiettivo mancato è rinata più forte e più sana di prima.
«Non dimenticherò facilmente quei momenti. Ammetto che dei due epiloghi sfortunati – ha aggiunto Di Gregorio – quello di due anni fa è stato il peggiore. Era l’ultima di campionato e sui campi di gioco c’erano i commissari di campo. Le due partite iniziarono in concomitanza, sia nel primo tempo che nella ripresa. Al termine della gara eravamo con un piede in serie D, stavamo solo aspettando la fine dell’altro incontro. I nostri giocatori si sedettero a terra, sul prato: ricordo che quei minuti non passavano mai. Eravamo pronti ad esplodere dalla gioia, ma non arrivava la notizia del finale da Vasto. Dopo sei, sette minuti, ci dissero del gol di Bisegna all’ultimo secondo di gioco. L’arbitro non fece neppure sistemare la palla a centrocampo, era finita così. Oggi mi ritrovo in Eccellenza, con una squadra che ha messo in cantiere 143 punti in due stagioni. Potete solo immaginare quale sia la delusione. All’inizio ti passano per la testa mille pensieri, poi basta tornare in tribuna a guardare la squadra e tutto passa in secondo piano. Il groppo in gola si digerisce e si ricomincia a sperare. Ci vuole un po’ di tempo, non a caso quest’anno abbiamo deciso di fermarci un attimo, lasciare che agli eventi il proprio corso naturale, e ricominciare a lavorare solo a mente lucida. Sia chiaro, i problemi della vita sono ben altri, parliamo di sport e quindi di delusioni relative».
Cadere per poi rialzarsi, questo è il senso della vita, come pure del calcio. Non c’è limite al sogno e non c’è ostacolo che tenga, l’obiettivo è chiaro e non importa quanto tempo ci vorrà per acciuffarlo. Ora è tempo di lavorare sodo, gestire gli imprevisti e aggirare le variabili contrarie. La squadra è pronta a lasciare il segno, e se l’avvio di stagione ha rivelato qualche incertezza di troppo, le ultime uscite hanno confermato gli standard stagionali: si combatte solo per vincere.
«Se esiste una nota positiva è che questa grande sfortuna ci ha circondato di moltissimi simpatizzanti. In questi anni – ha concluso il presidente nerazzurro – ho avuto la possibilità di allacciare rapporti umani e coltivare conoscenze, e questo è un beneficio di grande importanza. Gli episodi sono fini a se stessi, quello che resta sono i valori. Il portamento è ciò che ti qualifica, puoi essere un professionista di serie A anche a costo zero. Dobbiamo sempre essere al di sopra di ogni polemica, ci vuole educazione e rispetto, anche quando alla fine non vinci tu. Ora pensiamo al presente, c’è un campionato da giocare e vincerlo non è facile. L’Eccellenza ha tante variabili, dobbiamo essere pronti a gestirle. Riconosciamo di aver fatto già molto sul nostro territorio, ma non siamo ancora soddisfatti. Non esistono limiti alle ambizioni, guardando al futuro non riesco a definire un traguardo preciso. Ad oggi l’obiettivo è la serie D, abbiamo costruito una squadra per vincere, non per arrivare secondi».