“Giuseppe Rivera, di cui quest’anno ricorre il primo centenario della morte, a prescindere dai suoi prestigiosi titoli e onorificenze, quali l’appartenenza per cinquanta anni al Sovrano Militare Ordine di Malta, è stato un benemerito uomo di cultura per l’intero Abruzzo e non solo. Fu tra i promotori della fondazione della Deputazione Abruzzese di Storia Patria nel 1888 e suo presidente dal 1896 al 1923. Rappresentante di rilievo presso l’Istituto Storico Italiano, autore di ben ottanta opere di carattere storico e culturale, fu Priore della Congregazione dei Nobili in L’Aquila, cofondatore dell’Osservatorio geodinamico di Aquila, Presidente per vari anni della Congregazione di Carità e membro del Consiglio di Amministrazione e Vice presidente della Cassa di Risparmio”.
Così in una nota dello storico Fulvio Giustizia.
“Fu anche Ispettore onorario per la conservazione dei monumenti e scavi d’antichità nel Circondario dell’Aquila – prosegue -, promuovendo tra l’altro una campagna di scavi nella città romana di Foruli (Civitatomassa), auspicando anche la nascita di un museo provinciale di antichità e arte in L’Aquila. Ma veniamo all’argomento anticipato dal titolo del nostro presente intervento. Consultando alcune opere del nostro Rivera, e precisamente ‘La Città dell’Aquila negli ultimi anni della Monarchia Napoletana‘, vol. II (Uff. Graf. B, Vecchioni e Figli, Aquila 1910, pp.55-56), ci siamo imbattuti in questa importante e poco nota testimonianza, contemporanea ai fatti, che qui riferiamo”.
“‘Le monache di S. Chiara povera possedevano un pregevolissimo trittico pinto a tempera, di Niccolò da Foligno, rappresentante Gesù morto in croce con altre pietose scene. Esso si esponeva annualmente in chiesa al passaggio della processione del Corpus Domini. Ma in seguito alla legge delle Corporazioni religiose promulgata nelle provincie napoletane il 17 febbraio 1861, non solo non più si espose al pubblico ma non se ne ebbe più nuova. E ciò, non ostante le attive incessanti cure dell’Autorità giudiziaria a favore del Demanio, cui se ne sarebbe devoluta la proprietà'”.
“‘Dopo più di venti anni, nei quali non si era mai cessato di parlare della misteriosa scomparsa di questo prezioso dipinto, si ebbe qualche notizia che esso trovavasi al museo di Londra, senza sapere però come vi fosse pervenuto. Ma nel 1886 per le nuove e più dirette inquisizioni dell’Autorità giudiziaria si apprese che il trittico nel 1881, dopo la morte di Mons. Filippi, era stato venduto in Roma a mezzo di un ebreo per lire 6500 all’antiquario Alessandro Castellani, da cui nel seguente anno era stato ceduto ad un inglese per lire 30.000 per conto dell’accennato museo di Londra. Il quale prezzo, se dette un conveniente guadagno all’antiquario, non fu corrispondente certo al valore del trittico che era assai maggiore'”.
“Andando oggi a controllare notizie del dipinto al Museo londinese troviamo la seguenti notizie nella scheda che lo riguarda: artista Niccolò di Liberatore (da Foligno, 1430 circa- 1502), titolo, Cristo sulla croce ed altre scene, datazione 1487, dipinto in tempera e olio, firmato e datato, dimensione 92,1 cm di altezza e 57,8 cm di larghezza, collezione Galleria Nazionale, inventario NG1107, comprato nel 1881, posizione, non in esposizione”.
“A questo punto ci si può chiedere come mai un’opera dell’artista di Foligno fosse pervenuta nel Convento delle Clarisse a L’Aquila. Probabilmente la donazione ebbe luogo in considerazione del legame spirituale esistente tra quella città e la Beata Antonia, che fu badessa del convento delle Terziare a Foligno negli anni 1830-1833”.
“In conclusione, dopo l’importante testimonianza del Rivera, che abbiamo riferito, ci chiediamo se il trittico del Niccolò, che risulta chiaramente rubato dal luogo di culto del Convento aquilano della Beata Antonia, possa ancora oggi essere oggetto di restituzione, grazie al progetto di recupero del patrimonio culturale da parte dei Carabinieri, interessati alla tutela del Patrimonio Culturale (TPC). Al riguardo sappiamo, in appoggio, che esiste la convenzione internazionale ‘UNIDROIT, uno strumento giuridico che, a determinate condizioni, consente al legittimo proprietario, sia esso un collezionista privato, una pubblica istituzione o uno Stato, di rientrare in possesso di un suo bene culturale che è stato rubato o esportato illecitamente all’estero'”.