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CGIL L’Aquila: «La Regione Abruzzo legittima il 30 % dei licenziamenti»

Il segretario provinciale della Cgil dell’Aquila Francesco Marrelli lancia l’allarme sui licenziamenti della Regione, in settori quali turismo e commercio, con riferimento alla legge regionale del 3 giugno 2020, la numero 10.

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La Cgil della provincia dell’Aquila mostra preoccupazione per la legge approvata dalla Regione Abruzzo a sostegno del settore del turismo, del commercio e degli altri settori colpiti dall’emergenza Covid-19, la numero 10 del 2020, che nell’articolo 10, autorizza le imprese beneficiarie dei contributi a licenziare fino al 30% dei propri dipendenti, ponendosi in contrasto con quanto previsto dal Decreto Rilancio.

Di seguito la nota del segretario provinciale della Cgil dell’Aquila Francesco Marrelli.

“Questa emergenza sanitaria ha riacceso nel Paese e nel nostro territorio vecchie contraddizioni, rischiando di far esplodere l’ennesimo conflitto tra aree regionali con conseguente impoverimento del tessuto produttivo provinciale. Basti vedere i dati sulle richieste per gli interventi a favore dell’accesso al credito per capire quanto fragile sia oggi il nostro tessuto produttivo, infatti il 50,7% dei prestiti garantiti e fin ora erogati è stato ad appannaggio di quattro regioni del Nord. Tale situazione potrebbe acuire la profonda spaccatura tra le regioni del nord e quelle del sud del paese.

Negli anni abbiamo vissuto delocalizzazioni e trasferimenti di attività in altri territori, nazionali ed esteri, con concentrazioni di imprese e conseguente ricerca di maggiori opportunità di profitto. Oggi rischiamo di ripercorrere ed accelerare le stesse dinamiche.

Molte attività produttive, in fase di ripresa, hanno riaperto con contingenti ridotti di personale. È avvenuto in tutti i settori nessuno escluso, ivi compresa l’attività ricostruttiva nei cantieri, il turismo, il commercio, i servizi alle persone, le attività di produzione industriale.

Se a tale difficoltà si aggiungono le singolari e pericolose posizioni assunte dalla regione Abruzzo rischiamo di dover fronteggiare in piena emergenza il licenziamento di migliaia di lavoratori. Infatti, nella legge regionale 3 giugno 2020 n° 10 relativa alle “Disposizioni urgenti a favore dei settori turismo, commercio al dettaglio ed altri servizi per contrastare gli effetti della grave crisi economica derivante dall’emergenza epidemiologica da COVID-19, all’art. 10 si legge testualmente che i beneficiari dei contributi di cui alla presente legge “garantiscono per le annualità 2020 e 2021 un livello di occupazione pari al 70% di quello già esistente nell’anno 2019”. Tale previsione normativa risulta essere in contrasto con quanto previsto dallo stesso Decreto Rilancio che prevede sovvenzioni fino alla copertura dell’80% del costo del lavoro per evitare licenziamenti attraverso l’adozione da parte delle Regioni di provvedimenti che, peraltro, possono essere cumulati con altre misure a sostegno dell’occupazione.

La conservazione dei livelli occupazionali è indicata anche nella Comunicazione della Commissione Europea del 3 aprile 2020 C (2020) 2215, quale presupposto necessario per interventi a sostegno delle imprese.

La posizione della Regione Abruzzo sarà interpretata come una legittimazione a licenziare almeno il 30% dei lavoratori in forza.

Ci opporremmo con tutte le azioni possibili anche con interventi in sede di Governo Nazionale affinché vengano tutelati tutti i livelli occupazionali, soprattutto se le aziende sono destinatarie di contributi o benefici pubblici che hanno per loro natura la finalità di conservazione e tutela dei lavoratori. Mentre la CGIL continua a chiedere maggior senso di responsabilità a tutti i soggetti, a partire dal Governo, al quale stiamo chiedendo di prolungare gli ammortizzatori sociali con il contestuale blocco dei licenziamenti, la regione Abruzzo genera un provvedimento che rischia di compromettere il mantenimento dei livelli occupazionali, in palese contraddizione con i principi delle norme nazionali condivise e delle Comunicazioni della Comunità Europea.

Ci chiediamo in quale Stato creda di agire chi governa la Regione Abruzzo per muoversi in maniera tanto distante da quella centrale”.

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