Vanno avanti i preparativi per la “Festa dei serpari” di Cocullo (L’Aquila), paese di 200 abitanti nella Valle del Sagittario.
Il 1° maggio, a mezzogiorno, la statua del santo patrono, Domenico abate, uscirà nella piazza agghindata di serpenti.
Intorno, migliaia di turisti a guardare e, alcuni, a provare l’ebbrezza di farseli scivolare tra braccia e décolleté. La tradizione, conosciuta anche negli Stati Uniti, tiene testa allo spopolamento, con tutte le difficoltà di organizzare l’evento in pochi. I serpari (e le serpare, un paio) sono rimasti in venti. Sono loro, dietro le quinte, i veri protagonisti, con la loro ricerca, per tutto il mese di aprile, di 150-200 animali. Qualche cocullese emigrato torna con largo anticipo per contribuire alla cattura dei rettili, come Marco Ognibene Mascioli, consigliere comunale di Cocullo. Oggi 37enne, nato e cresciuto nel paesino, dal 2007 vive a Bologna per lavorare nell’Esercito, “ma ogni anno, ad aprile – racconta – prendo le ferie, dai 10 giorni a un mese, per tornare a casa a fare il serparo”.
A ridosso dell’evento arriva anche l’erpetologo per censire gli esemplari catturati, che vengono rimessi in libertà dopo la festa.
Quest’anno due particolarità irrompono nella tradizione: le temperature più rigide che hanno ritardato l’uscita dal letargo dei serpenti e la presenza di zecche. Ma si fa sentire anche il calo demografico. In vent’anni Cocullo ha perso 102 abitanti. La “Festa dei serpari” diventa quindi, sempre più, occasione di ritrovo per i cocullesi “restanti” con i compaesani espatriati o emigrati, di ritorno per un giorno.