Quella maledetta mattina di 55 anni fa, Audrey Hepburn indossò un tubino nero di Givenchy. Da allora, la moda grintosa e graffiata delle donne ne ha fatte e battute di strade diverse e differenti. Quell’abito è considerato in assoluto come uno degli outfit più influenti nella storia dell’abbigliamento e del costume del ventesimo secolo. Oggi, invece, nell’anno 2016, sono giunte, alla pari di un tuono all’orizzonte, dopo quasi vent’anni di attesa nel campo della moda ad alta quota, loro: le divise ufficiali italiane da hostess del rubino e dello smeraldo, visti i toni cromatoci prescelti. Le divise hanno fatto chiacchiere mezzo mondo del fashion in lungo e in largo ed hanno solcato, nello stesso momento, il mare del dubbio ed il cielo dell’incertezza, ma Marina Battaglia, stilista nativa d’Abruzzo, ha scelto, dal canto suo, di scandagliare la storia delle nuove gonne in stile anni ’50 delle marinaie delle nuvole, che hanno prodotto scalpore, stupore ed apprezzamento a singhiozzo. Dal rosso al verde, quindi, il corpo delle donne acquista l’aspetto di ciò che gli si vuol vedere ricamato addosso.
Marina Battaglia, nella vita, fa la stilista all’Estero. Disegna, oggi, maglieria per un noto brand francese e cura la moda per un’azienda di Shanghai, nel meraviglioso paese senza lacci mentali di Hong Kong. «Dall’Atelier romano più famoso al mondo, quello che porta ancorato addosso il nome delle Sorelle Fontana, sino ai più noti stilisti degli anni ’70, si pensi a Mila Schön, Marzotto e Balestra, per non parlare, poi, dei nomi più grandi come quelli di Armani e Mondrian, c’è da dire che la tanto discussa divisa delle hostess di Alitalia ne ha fatta di strada fino ad oggi. Non amo giudicare il lavoro altrui, – afferma Marina – perché, a mio avviso, ogni atto creativo merita rispetto e poggia sempre sulle sue proprie ‘buone ragioni’ alla base, ma mettendo per un attimo solo da parte la professione, da cliente e, prima ancora, da Italiana mi accorgo di essere rimasta un poco basita al momento della loro presentazione». Ironiche, patriottiche o fuori luogo?
Bistrattate sul web, puntate dall’indice della carta stampata più irruenta (si veda il caso di ‘La Stampa’), le nuove divise dell’Alitalia, presentate al grande pubblico lo scorso 18 e 19 maggio, in occasione dell’Alitalia Day, hanno disseminato per il labirinto dei gusti della società guardinga, sguardi fugaci e parole dette a mezza bocca. «Le divise dell’Alitalia – continua Battaglia – disegnate da Ettore Bilotta, il quale, in quanto a divise, mi sembra proprio che sia anche più che specializzato, sono caratterizzate da colori scuri: quelle delle assistenti di volo sono rosse, accompagnate da accessori (borse, scarpe, guanti e calze) verdi; quelle del personale di terra, invece, sono verdi. Durante la loro presentazione, la compagnia Alitalia ha spiegato che la nuova collezione 2016 – continua Marina Battaglia – è ispirata a quella degli anni Cinquanta e degli Sessanta della moda del nostro Paese natale, ebbene: mi piacerebbe tanto che fosse, in effetti, così. E’ facile comprendere la scelta dei colori, i quali rispecchiano in tutto e per tutto il leitmotiv della nostra bandiera nazionale, ma prima di mixarli e di utilizzarli per il look delle nuove divise, magari io, da stilista, avrei riflettuto un po’ di più! I nostri colori, di fatti – afferma ancora – sono toni molto particolari, i quali potrebbero anche proporre il tranello di un accostamento sfociante nel ridicolo; ho letto, in questi giorni, diversi commenti e critiche rispetto alla nuove divise Alitalia, ma a chi non verrebbe in mente un luminoso albero di Natale, guardandole?». Un capovolgimento di total look, questo, che, in realtà, avrebbe puntato a rilanciare l’immagine della compagnia aerea nazionale, ispirandosi al fascino senza tempo degli anni delle grandi dive di Hollywood. Anche per gli uomini, inoltre, è stato disegnato un completo color antracite, con particolari in verde bosco.
«Va bene il ricordo delle terrazze delle Cinque Terre, una tra le tante meraviglie del così conclamato Bel Paese italiano, ma, secondo me, è un vero peccato che lo stile elegante e qualitativo più rappresentativo del nostro miglior ‘Made in Italy’, che incontra, ad esempio, il gusto sopraffino nella scelta dei tessuti o nella selezione dei pellami, non sia stato utilizzato con altrettanta qualità d’iniziativa in questo contesto». Audrey Hepburn, nel ruolo di Holly Golightly, indossò quel famoso tubino nero aprendo la portiera di un taxi e consumando un croissant mentre osservava le vetrine luccicanti di Tiffany. Alitalia, ora, di proprietà della Etihad di Abu Dhabi, ha voluto le ‘sue’ donne vestite con i tessuti della Toscana e attorniate dalla seta lavorata a Como: chissà se, mirando un oblò in volo, con lo stesso sguardo sognante di Holly, mentre all’interno dell’aereo si consuma la classica colazione all’italiana (cornetto e cappuccino), anche le nostre hostess avranno la sensazione di sentirsi portatrici di un nuovo modo di intendere le calze a rete.
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