“Il principio di legalità è fondamentale e l’inerzia del legislatore non può e non deve ricadere su noi magistrati e, men che meno, sulle famiglie delle persone che non sono più in grado di scegliere per il loro fine vita. Nessuno deve essere lasciato solo: nè il magistrato al momento della decisione secondo legge, che in questo caso manca, nè i cittadini”.
Così il giudice del tribunale dell’Aquila Marco Billi, sulla sua fatica letteraria dal titolo “Soli nel fine-vita. Il caso Cappato e la necessità di una legge”. Il libro, Edizioni Mondo Nuovo di Pescara – 18 euro, esce in un momento molto attuale per questa tematica etica, alla vigilia della campagna referendaria: sarà nelle librerie italiane dal prossimo 10 luglio.
Billi, 52 anni, napoletano di nascita ma abruzzese di adozione, è noto a livello nazionale ed internazionale per avere firmato la sentenza di primo grado con cui il tribunale dell’Aquila, nel 2013, ha condannato i sette scienziati della commissione Grandi Rischi con l’accusa di sottovalutazione del rischio sismico nel tragico terremoto dell’Aquila del 2009.
“A volte le esperienze di vita vissuta – spiega il magistrato all’ANSA – si intrecciano inesorabilmente con la propria professione, con le responsabilità a cui quotidianamente dobbiamo doverosamente rispondere. Da qui è partita, prima ancora che la mia motivazione a scrivere questo libro, la mia curiosità nei confronti del caso che ha visto tristemente protagonista Dj Fabo e la sua storia culminata nel di lui suicidio assistito – continua il magistrato -. Quella che inizialmente sembrava una mera curiosità, si è via via intensificata, ha preso forma, corpo, carattere ed ho ritenuto di voler palesare, in questo libro, la necessità di un intervento legislativo che vada a colmare una lacuna che nel nostro sistema risulta ingombrante”.
Billi sottolinea che “dal punto di vista giuridico, l’interesse è nato perché, nel caso DJ Fabo la Corte costituzionale, nella prima ordinanza, non dichiarava né la illegittimità costituzionale della norma (art. 580 c.p.) nè la infondatezza della questione che era stata posta, ma formulava un chiaro monito al legislatore assegnandogli un anno per intervenire sulla materia”.