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Il governo risponde all’interrogazione sulla ex Sevel di Atessa

Fina: “Solo riflessioni di carattere generico ma servirebbero politica industriale e schiena dritta”.

“Non sono soddisfatto della risposta del governo. Si parla del sito produttivo più importante della regione Abruzzo, di uno dei principali nel comparto automotive di tutto il Paese, ma abbiamo ascoltato solo riflessioni di carattere generico”: lo ha detto il senatore del Partito Democratico Michele Fina replicando in Aula a Fausta Bergamotto, sottosegretaria alle Imprese e al Made in Italy. Bergamotto ha fornito la risposta all’interrogazione di Fina sulla ex Sevel di Atessa, nella quale si chiedevano delucidazioni sulla situazione dello stabilimento e sulle eventuali iniziative del governo per sostenerlo.

Fina ha sottolineato: “Avrei preferito ascoltare numeri, chiari: parliamo di un sito produttivo che aveva seimila lavoratori e che in poco tempo ne ha persi mille, che è passato a produrre 250mila furgoni da 350mila, che sta incentivando le lavoratrici e i lavoratori all’esodo. Non se ne capisce la prospettiva se non la scelta di delocalizzare pur a fronte di aiuti e incentivi pubblici. Sono le conseguenze di un mercato gestito senza pianificazione e vincoli: si arriva a far collassare un territorio, visto che va anche tenuto conto delle altre migliaia di posti di lavoro, dell’indotto. Occorre una politica industriale, non va bene farsi portare in giro, ascoltando promesse di investimenti che poi non si verificano. C’è bisogno di riflettere sulla strategia del Paese in questo settore, definendo cosa accade con trasparenza e con chiarezza. Senza la schiena dritta nelle relazioni con il management vedremo solo numeri senza esito e impegni disattesi”.

Aprendo il suo intervento Fina ha ricordato le tre vittime di ieri e le altre tre vittime del 2020 alla Esplodenti Sabino di Casalbordino: “Ieri Fernando Di Nella, Gianluca De Santis, Giulio Romano; tre anni fa Carlo Spinelli, Paolo Pepe, Nicola Colameo. Proprio oggi inizia il processo sull’incidente di tre anni fa. Oltre al danno sono stati beffati la giustizia, il Presidente della Repubblica che ha preso una posizione forte sulla sicurezza sul lavoro e un luogo come questo, il Parlamento, nel quale si dovrebbero stabilire le regole. Ad esempio la regola che si lavora per vivere, non per morire. Perché si fa fatica a dire che morire è un’eccezione, se un’azienda sequestrata dopo tre morti viene riaperta con procedura semplificata. Servono formazione e cultura della sicurezza perché questi accadimenti uccidono persone ma con esse anche la credibilità delle istituzioni”.

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