Figlio del silenzio. Anzi, no: figlio di uno spazio della società attuale che si è dovuto conquistare con più sacrificio. Figlio di un linguaggio che si è dovuto imparare con infinita pazienza. Figlio di una storia di non facile comprensione, forse, per chi è, magari, abituato a dire alla propria madre ‘Buongiorno e buonasera o ti voglio bene’. Eppure, Monica Tarola, madre di un figlio sordo (ora all’università per studiare le materie giuridiche), di certo non ha scelto il silenzio, nella sua vita. Ma ben sapendo, forse, di quanto il mondo là fuori, a volte, parli senza sapere e gridi senza conoscere, ha deciso di mettersi a scrivere, cicatrizzando in parole di inchiostro una profonda verità, in fondo: non si è mai sazi dell’informazione, soprattutto di quella vera e sperimentata con lacrime e sorrisi.
Si tratta della, probabilmente, decima presentazione che l’autrice, mamma di Matteo, fa in Marsica, da quando è uscito il libro, circa un anno fa. «Io sono originaria di Pescina, quindi di un Comune marsicano, – racconta l’autrice – ma questo libro mi ha portata a conoscere molti territori e persone diverse. Posso descrivermi solo come una mamma che ha voluto esternare e raccontare la sua avventura di vita, certo fatta di momenti felici, e altre volte di momenti di resistenza». Forse è proprio la resistenza il segnalibro identificativo di questo volume. «La necessità di raccontare questa esperienza che ha cambiato, praticamente, tutti i connotati della nostra esistenza, mia, di mio figlio e della nostra famiglia, e il contestuale bisogno di raccontarsi si sviluppano dalle difficoltà che abbiamo incontrato in ogni aspetto della società attuale, nell’andare avanti: credo che, di sordità, se ne parli, oggi, davvero poco. C’è poca informazione e per questo ho voluto affidare ad un messaggio di carta, in questo caso un libro, una storia semplice, poi divenuta complessa e poi tornata ad essere semplice grazie alla testardaggine tipicamente abruzzese. Adesso Matteo si aiuta con i sottotitoli in TV, per il resto parla senza problemi, e tra i suoi amici ci sono sia ragazzi sordi che ragazzi udenti».
«Nel libro – spiega Monica – l’inizio è affidato al momento in cui mio figlio, attorno all’età di 3 anni circa, è stato colpito da una sospetta meningite. Da lì narro tutto il percorso che arriva sino a due anni fa, quando Matteo si è diplomato e si è iscritto all’Università. Coraggio, perseveranza e voglia di fare sono state le nostre stelle guida: la società, forse, a volte, quella ingabbiata in un sistema che non cambia mai (sanità e scuola in primis) a volte dimostra di avere un po’ troppo i paraocchi. Un sordo non è una persona limitata, non è colui che non sente e che non parla, è semplicemente un uomo o una donna che codifica il mondo in altri modi e in altri mondi. Oggi Matteo studia Giurisprudenza: questa è la vittoria più grande. Partire da -1 ed arrivare ad iscriversi, adesso, al terzo anno di Università, sostenendo tutti gli esami e stando in regola con i corsi non è il risvolto più scontato di una vita combattuta come la nostra». Buttare giù tutti i muri, i parapetti, i recinti, le staccionate e le pareti di metallo con la sola forza di una fede, quella nell’integrazione del proprio bambino: per una mamma, ciò significa quasi diventare due mamme in una, la prima che va avanti nella società giornaliera e la seconda che non dorme, sbaglia, ricomincia, riparte, azzera tutto e fa centro, anche in solitudine. «Mi sono riscoperta, a lungo andare, forte, coraggiosa e determinata, per non dire cocciuta, come la Marsica. Matteo era un udente, cioè, all’epoca, aveva acquisito quasi completamente il nostro linguaggio. Dopo lo choc fisico, ti ritrovi in un mondo totalmente al silenzio. Mi ricordo che inizialmente gridai anche con lui, ma poi mi accorsi che lui vedeva solamente le mie labbra muoversi; quindi, prima dell’intervento e di inserire gli orecchi bionici, lui non ascoltava alcunché», dice.
«Di sordità – aggiunge – se ne parla sempre troppo poco, a mio avviso. Questo libro nasce anche per questo motivo, per dare una testimonianza reale. Mio figlio poi è stato sottoposto all’intervento di applicazione di un impianto cocleare, gli sono stati apposti, cioè, i famosi orecchi bionici con i quali riesce anche a sentire abbastanza distintamente, quindi, in un certo qual modo, si è integrato perfettamente». L’intelligenza di Monica è ancora più evidente in quella che è stata la sua capacità di spingere suo figlio ad andare oltre il normale vissuto, a non sedersi sulla sua condizione, a non assopirsi di fronte ad una ‘decapitazione’ anche psicologica del Destino o del Caso. «Il mondo è di chi sente, quindi ho sempre spinto affinché mio figlio imparasse a parlare per rapportarsi con tutti. – dichiara – Fare in modo di auto-censurarsi non è la scelta migliore, non sempre chi capita sulla tua strada ti viene incontro normalmente, molto spesso quel primo passo lo devi fare tu, con l’impegno. Con la dimostrazione. Per questo motivo, per me, la Lis (la lingua dei segni italiana) deve venire dopo, perché è un’altra lingua, di diverso costrutto rispetto a tutte le sfumature della lingua italiana. Noi siamo andati oltre, abbiamo deciso di vivere e non solo di sopravvivere».
Matteo dovrebbe essere quasi un metro di paragone. Chiunque può fare come Matteo, ma non perché Matteo non sia speciale, anzi. Il fatto è che Matteo ha denudato la sua specialità, facendola sentire ‘normale’. E’ un uomo tra gli uomini che crescono adesso. Studia, dialoga, si impegna, sogna. E l’unico mare che divide il sogno dalla realtà, è la responsabilità di sentirsi capace di fare un qualcosa. Capace anche solo di ascoltare, raschiando via, poco a poco, tutti gli strati del silenzio che si ha dintorno, soprattutto di quello della mente. «Speriamo che prima o poi decida di venire anche a qualche presentazione del nostro libro. – afferma Monica, infine – Bisogna raccontare, esprimersi e scrivere anche se ascolta davvero una sola persona in platea. Le altre possono restare mute, ma a lei, forse, avrai cambiato la vita».