L’articolo pubblicato ieri su Libero, a firma di Annalisa Terranova, non è un semplice errore giornalistico: è una falsificazione consapevole e mirata, costruita per delegittimare il lavoro e l’identità politica dell’associazione Marsica LGBT+.
Si sostiene falsamente che una ragazza trans sia stata esclusa dalla nostra associazione per opinioni “moderate” sul Pride. Una versione non solo infondata, ma pensata per distorcere la realtà, alimentare divisioni e diffondere disinformazione.
Marsica LGBT+ non ha mai escluso nessuna persona per motivi politici. I motivi dell’allontanamento sono altri: comportamenti reiterati e documentati che hanno danneggiato il buon funzionamento e l’immagine dell’associazione. Tali decisioni sono il frutto di un processo collettivo, democratico e verbalizzato, la cui documentazione è disponibile presso la nostra sede.
La giornalista non ha ritenuto necessario contattarci per una verifica o per fornire una versione circostanziata dei fatti. Nessuna richiesta di chiarimento, nessun confronto. Una scelta grave, che antepone la propaganda alla responsabilità dell’informazione.
Il risultato è un racconto ideologicamente orientato, che ci presenta come una “minoranza radicale” incapace di accogliere il dissenso. Una narrazione comoda per chi, da anni, attacca il Pride, delegittima le persone trans e presenta i movimenti LGBTQIA+ come dogmatici o estremisti.
L’assenza di verifica non è una svista: è una scelta politica. E come ogni scelta politica, ha conseguenze. Disinformare significa legittimare l’odio, ridicolizzare le lotte per i diritti, rafforzare la marginalizzazione delle persone queer.
È inoltre estremamente grave che la voce di chi ci accusa venga amplificata da testate dichiaratamente transfobiche. In particolare, la lettera aperta alla base dell’articolo è stata precedentemente pubblicata — tra gli altri — da La Fionda, sito che “accoglie e pubblica con piacere” il contenuto.
La Fionda non è un semplice blog: è uno dei principali megafoni della manosphere italiana — un circuito tossico di siti, forum e canali che legittimano ideologie misogine, reazionarie e transfobiche, frequentato anche da gruppi incel (celibi involontari). È uno spazio in cui si nega la violenza maschile, si rappresenta la donna come manipolatrice privilegiata, si ridicolizzano il Pride e le soggettività queer, e si dipinge il femminismo come una minaccia da combattere.
Alla luce di questo, ci chiediamo: come si può invocare “moderazione” mentre si affida la propria narrazione a spazi che negano apertamente la nostra esistenza?
L’idea di un “Pride moderato” viene spesso presentata come invito al dialogo. Ma, in contesti simili, si trasforma in uno strumento per delegittimare le forme di attivismo più visibili e politicamente strutturate. Non si tratta di confronto, ma di pressione a ridimensionarsi per essere più “accettabili” agli occhi di chi ci rifiuta.
Affidare il proprio messaggio a contesti ostili non è un atto neutro: è una scelta politica, ed è una forma di violenza. Si chiede a chi subisce discriminazione di “abbassare i toni”, mentre si legittimano spazi editoriali che diffondono odio e disinformazione.
Chi compie questa scelta non può poi presentarsi come emarginato per colpa del nostro “radicalismo”. Questa non è emarginazione: è complicità.
Non esiste neutralità possibile quando si amplificano voci e spazi che disprezzano la nostra esistenza.
Marsica LGBT+ non si farà zittire da chi confonde l’oppressione con un’opinione e la propaganda con il giornalismo. Far parte di un’associazione significa riconoscere che il confronto non è imposizione, ma costruzione collettiva.
Rivendicare un ascolto “negato” solo perché non si è ottenuto consenso non è essere esclusi: è rifiutare la dinamica democratica su cui si fondano i nostri spazi.
Continueremo a lottare, a viso aperto, per una società in cui nessuna persona debba mai chiedere il permesso di esistere.
Comunicato stampa