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Nuove scoperte per la viticoltura abruzzese

Grazie ai progetti della Banca del Germoplasma del Parco Nazionale della Maiella con Bio Cantina Orsogna.

In Italia e in Abruzzo gli ultimi paesaggi viticoli tradizionali, la diversità delle forme di allevamento, i palmenti scavati nella roccia o all’interno delle grotte costituiscono un’eredità culturale straordinaria che nessun altro Paese al mondo può vantare.

Il progetto dei vini “Vola Volè Maiella National Park”, vini fermentati della Bio Cantina Orsogna 1964 con lieviti autoctoni dai frutti e dei fiori della Maiella, realizzato in collaborazione con il Parco Nazionale della Maiella, ha segnato l’avvio di una stretta e proficua collaborazione scientifica tra le due realtà: Ente Parco e Bio Cantina.

Dal 2019, nell’ambito di questa collaborazione con Bio Cantina Orsogna ad oggetto “la complementarità e l’integrazione di iniziative e progetti per lo sviluppo e la valorizzazione della viticoltura autoctona di montagna”, è stato avviato lo studio dei vitigni storici nel territorio del Parco della Maiella e nelle aree limitrofe, soprattutto lungo la valle dell’Aventino. Grazie a questi studi che fanno uso anche della genetica si sta delineando l’interessante patrimonio viticolo di un territorio, oggi considerato marginale, in cui si pratica l’agricoltura da quasi 7000 anni. Sono stati individuate e tutelate anche alcune “vigne madri”, vecchi impianti viticoli in cui si sono conservati vecchi vitigni altrove scomparsi che testimoniano la notevole biodiversità dell’area anche in ambito viticolo. Tra le “vigne madri” segnalate, si colloca quella di Lama dei Peligni dell’anziano vignaiolo Pietro Di Florio Di Renzo in cui persiste una straordinaria ricchezza di vitigni antichi, tra cui anche l’uva pane citata nello statuto di Lanciano del XVI secolo, nonché vitigni autoctoni e particolari ecotipi di varietà adattate al territorio montano in fase di studio. Il vigneto è stato preso in esame da Bio Cantina Orsogna e oggi assume il valore di vigneto catalogo allo scopo di mantenere la diversità genetica delle differenti cultivar in esso presenti.

Questo studio ha messo a confronto i semi di vite (vinaccioli) rinvenuti in due siti archeologici nel territorio di Crecchio con i semi appartenenti a vitigni tuttora in coltura nel territorio, utilizzando metodiche e strumentazioni d’avanguardia, proprio presso la Banca del Germoplasma del Parco localizzata a Lama dei Peligni. Dallo studio è emerso che i vinaccioli dei siti archeologici di Crecchio: uno del periodo bizantino (VI sec.) e l’altro alto medievale (intorno all’IX sec.), appartengono a viti coltivate e non alla vite selvatica. Questo dimostra la diffusione della viticoltura in Abruzzo in quel periodo, cosa prevedibile in quanto la coltivazione della vite nella regione abruzzese è documentata già sul finire dell’età del bronzo (3500 anni fa). I vinaccioli rinvenuti in anfore vinarie nell’insediamento bizantino di Crecchio si avvicinano alla varietà in coltura nota come sangiovese. Questo studio avalla l’idea che già dopo la caduta dell’Impero Romano in zona si coltivava il sangiovese; anche se non è da escludere che i semi possano essere stati importati con il vino, all’interno delle anfore vinarie, da altra località nazionale o estera. I vinaccioli venuti alla luce nella tomba medievale, probabilmente appartenenti a grappoli di uva depositati sulla testa del defunto, si avvicinano per i caratteri morfometrici ad una vecchia varietà viticola coltivata nella valle dell’Aventino e conosciuta sotto la denominazione locale di uva tosta antica, un’uva a bacca bianca destinata al consumo come frutta fresca o appassita. Lo studio ha evidenziato anche la forte caratterizzazione morfologica, rispetto ai semi delle altre varietà di confronto, dei vinaccioli di una varietà autoctona locale (presente perlopiù nelle campagne di Gessopalena): l’uva nera antica di recente descritta e iscritta nel registro varietale delle uve italiane. La ricerca conferma ulteriormente la diversità dell’uva nera antica, la seconda varietà viticola a bacca nera dopo il montepulciano, nell’ambito del patrimonio viticolo nazionale.

Questo studio apre la strada ad altre interessanti iniziative:

(I) avviare la creazione di un database regionale completo dei tratti morfologici dei semi d’uva (vinaccioli) provenienti da scavi archeologici, da differenti vitigni in coltura, nonché dalla forma selvatica della vite;
(II) identificare quali semi di vitigni moderni presentano somiglianze morfologiche con varietà antiche rinvenute negli scavi archeologici al fine di ricostruire la storia della viticoltura regionale.

Gli autori della ricerca sono i tecnici della Banca del Germoplasma e della BioCantina Orsogna, botanici ed agronomi, unitamente a docenti dell’Ateneo Aquilano ed esperti archeologi.

Il Direttore ed enologo di Biocantina Orsogna, Camillo Zulli, evidenzia che “la campagna di rilevamento di cultivar di Vite domestica (Vitis vinifera subsp. sativa) in territori di alta collina e pedemontani situati nell’entroterra della Regione Abruzzo predisposta con il progetto Pi Ni Perde la Sumente, con lo scopo di caratterizzare gli ecotipi di Vite domestica espressione della interazione tra il loro assetto genetico e le specifiche condizioni ambientali, ha confermato che nel territorio interno della regione Abruzzo fino agli anni ’60 e ’70, l’attività agricola dedicata alla viticoltura era largamente diffusa: nel vigneto di Pietro di Florio a Lama dei Peligni sono stati rilevati diversi ecotipi della varietà Sangiovese come la Ghiuppitte di Mondenere, l’Uva della Acea, la Vedovella e della varietà Montonico come la Verdacchiona e lu Ciapparone, che testimoniano il loro adattamento al territorio pedemontano della Maiella”.
Aurelio Manzi, etnobotanico e storico dell’agricoltura, sottolinea “l’importanza della Banca del Germoplasma di Lama dei Peligni, non solo per la conservazione dei semi di specie vegetali selvatiche e in pericolo di estinzione o di vecchie varietà di piante di interesse agronomico non più in coltura, ma anche la sua funzione nel promuovere la ricerca sulla biodiversità in ambito regionale e nazionale, con forti ricadute anche in ambito economico. Questo centro di ricerca del Parco riesce a catalizzare l’attenzione di giovani ricercatori locali e di tutta Europa, dimostrando che anche nelle aree marginali e nei paesi più isolati della nostra montagna è possibile fare ricerca di livello internazionale”.

Per il Direttore dell’Ente Parco e botanico Luciano Di Martino, “la ricerca scientifica ed il recupero della conoscenza del lavoro umile e millenario di generazioni di contadini e vignaioli costituisce un eccezionale patrimonio culturale di supporto alla nostra tradizione viticola ed enologica; un patrimonio che rende unica la nostra Regione, e la cui consapevolezza in futuro ci permetterà di fare le scelte giuste per invertire la tendenza e contrastare l’abbandono dei terreni, con la creazione di agroeconomie compatibili con le aree protette”.

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