Tredici persone agli arresti domiciliari, 12 milioni di euro sequestrati ai fini della confisca ed interdizione all’esercizio dell’attività imprenditoriale per due società.
È il bilancio dell’inchiesta, coordinata dal sostituto procuratore della Repubblica di Chieti Giuseppe Falasca, condotta dalla Guardia di Finanza di Ascoli Piceno e dai Carabinieri del Nucleo investigativo del Comando Provinciale di Chieti e del Noe di Pescara, sfociata nell’operazione ‘Easy Money’, che ha portato all’emissione di una ordinanza di custodia cautelare ai domiciliari da parte del gip del Tribunale di Chieti Luca De Ninis.
Le accuse a vario titolo a vario titolo sono di associazione a delinquere finalizzata al riciclaggio, autoriciclaggio, dichiarazione fraudolenta dei redditi mediante l’emissione di fatture per operazioni inesistenti, impiego di fatture per operazioni inesistenti al fine di evadere l’imposta sui redditi e sull’Iva e attività organizzata per il traffico di rifiuti.
Il focus di questa indagine, come ha spiegato nel corso di una conferenza stampa a lo stesso Falasca, sono due società, una di Montecchio Emilia (Reggio Emilia), l’altra di Giulianova (Teramo) che si occupano di recupero di materiali ferrosi, società molto importanti con fatturati milionari, le quali trattavano i rifiuti e li conferivano alle fonderie per completare il ciclo del recupero dei materiali stessi.
È emerso, che buona parte dei rifiuti veniva conferito in nero da società e soggetti che non avevano né autorizzazione né titolo per il conferimento: quindi per giustificare i guadagni superiori, che non trovavano corrispondenza nella contabilità effettiva, le due società hanno “investito” in una pletora di società che nel chietino operano anche autorizzate, ma fittiziamente, nell’ambito del recupero del ferro, e che emettevano fatture in favore dell’impresa emiliana e di quella abruzzese, per operazioni inesistenti da cui risultava la cessione dei rifiuti.
A loro volta le due imprese effettuavano bonifici di denaro a queste società, come corrispettivo fittizio dell’acquisto di materiale ferroso: in seguito i soldi confluivano dai conti correnti delle società destinatarie su conti correnti postali attraverso i quali avveniva il recupero in contanti delle somme di denaro, previo una sorta di ‘tassa’ che veniva trattenuto da chi gestiva le imprese fittizie. Otto degli arrestati sono della provincia di Chieti, tre di quella di Pescara, uno della provincia di Reggio Emilia e uno della provincia di Teramo.