Due blockbuster da miliardi di dollari, Avatar e Top Gun: Maverick, erano in corsa agli Oscar accanto a film di “mostri sacri” come Steven Spielberg (The Fabelmans) e Baz Luhrman (Elvis), ma a fare da asso pigliatutto nella notte delle stelle è stato il piccolo Everything Everywhere All at Once con alle spalle lo studio indipendente A24 che prende il nome da un’autostrada italiana.
A24 ha conquistato nove trofei (sette per il film dei Daniel e due per The Whale con Brendan Fraser) su 18 candidature, sbaragliando la concorrenza di colossi come Netflix (cinque statuette tra Niente di Nuovo sul Fronte Occidentale e il Pinocchio di Guillermo Del Toro) e Disney (un Oscar per Avatar e l’altro per Black Panther: Wakanda Forever).
La vittoria ha cementato lo status di A24 come nuovo “arbitro di tutto quello che è cool”. Puntando su film al tempo stesso popolari e complicati come quello dei Daniel (cento milioni di dollari al box office grazie a un nuovo modo di fare cinema che incrocia gli schemi della franchise Marvel, concetti filosofici come esistenzialismo e nichilismo e i motivi classici della love story e dei rapporti genitori-figli), A24 ha sbaragliato grazie a un nuovo modo di fare cinema. La ricetta, simile a quella che negli anni ’90 fece la fortuna di Miramax, è aggiornata al nuovo millennio con film di qualità ma a costi contenuti, firmati da cineasti emergenti a cui viene data carta bianca e una strategie di marketing sui social fuori dai canali tradizionali.
È una favola che comincia sulle montagne tra Lazio e Abruzzo, regione che ha forti legami con la storia del cinema.
Guidando con amici sui 166 km della A24 lungo la quale sono stati girati molti film di maestri surrealisti e neorealisti, il cofondatore Daniel Katz ebbe una illuminazione e decise di lanciarsi nella nuova impresa: “Ho avuto questo momento di chiarezza. Avevo sempre voluto farlo e mai trovato il coraggio. Ho chiamato la società A24 perché eravamo su quell’autostrada“.