Per il sistema previdenziale in vista del 2024 si studiano solo piccoli aggiustamenti per le misure già esistenti mentre dovrebbero essere rinviati gli interventi più costosi.
Dal Governo si ribadisce che la priorità sono gli stipendi corrosi dall’inflazione ed è difficile che si trovino risorse per interventi in materia previdenziale a partire dall’anticipo della pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età.
Dovrebbe essere confermata Quota 103, ovvero la possibilità di uscire dal lavoro con 62 anni di età e 41 di contributi e l’Ape sociale per i lavoratori che si trovano in una situazione di disagio mentre dovrebbero essere previsti aggiustamenti per Opzione donna allargando di nuovo la platea a tutte coloro che hanno 35 anni di contributi con un’età minima che potrebbe essere alzata. Dopo le polemiche dell’anno scorso dovrebbe quindi saltare la limitazione della misura alle donne licenziate, con carichi di cura o disabilità che hanno di fatto ridotto il numero nel primo semestre delle donne disposte ad avere l’assegno calcolato interamente con il metodo contributivo pur di lasciare in anticipo il lavoro: da 24.559 del 2022 a 7.536 nel 2023 secondo gli ultimi dati Inps.
Resta da affrontare il nodo della rivalutazione degli assegni con l’inflazione acquisita che nel 2023 è già al 5,6% mentre va considerata anche la differenza tra quella riconosciuta l’anno scorso (il 7,3% per i trattamenti fino a quattro volte il minimo) e l’inflazione reale. Nella legge di bilancio dell’anno scorso la rivalutazione è stata tagliata per fasce a partire dagli assegni oltre quattro volte il minimo e quest’anno dovrebbe essere mantenuto quel criterio. “L’anno scorso – ha detto la segretaria dello Spi-Cgil, Tania Scacchetti – ci fu un intervento negativo sulla rivalutazione. Sarebbe inaccettabile qualsiasi peggioramento”.
Se si manterranno i criteri definiti l’anno scorso recupereranno l’intera inflazione gli assegni fino a 2.254,93 euro lordi al mese mentre avranno una rivalutazione ridotta quelli superiori a questa soglia (dall’85% dell’aumento dei prezzi di quelli tra quattro e cinque volte il minimo al 32% di quelli superiori a 10 volte il minimo). L’intera operazione potrebbe valere oltre 13 miliardi.
Nel bilancio preventivo Inps per il 2023 si segnala un aumento delle uscite per prestazioni di 14,26 miliardi “dovuto principalmente alla perequazione delle pensioni” deciso con la legge di Bilancio dell’anno scorso. Il 5 settembre è previsto un nuovo incontro dell’Osservatorio sulla spesa previdenziale con i sindacati su lavoro gravoso e la tutela previdenziale per le donne e la Cgil torna a chiedere che al tavolo ci sia anche la ministra del Lavoro, Calderone perché l’Osservatorio, avverte la segretaria confederale Lara Ghiglione, “non dà risposte politiche”.
L’ipotesi di introdurre la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi a prescindere dall’età con il calcolo dell’assegno interamente contributivo non è stata ancora completamente accantonata ma da più parti sottolineano come di fatto non sarebbe interessante per le donne che già escono con 41 anni e 10 mesi di contributi (mantenendo la parte retributiva) e poco appetibile anche per gli uomini che si troverebbero con circa un terzo della pensione attualmente retributiva ricalcolata in modo meno conveniente. “La priorità – ha sottolineato il vicepremier e ministro delle Infrastrutture, Matteo Salvini – è aumentare stipendi e pensioni. Mettere quello che riusciremo a ricavare, ad esempio risparmiando sul reddito di cittadinanza per chi non ne ha diritto, e confermando il prelievo sui guadagni milionari delle banche, in aumento di stipendi e pensioni. Taglio delle tasse per aumentare stipendi e pensioni, il che significa aiutare le famiglie”. Più che sui pensionandi quindi si guarda ai pensionati guardando al recupero del potere d’acquisto di questi assegni.