Indagine Confcommercio-Swg: due terzi degli italiani vogliono più negozi sotto casa per avere maggiori opportunità di scelta e ridurre gli spostamenti. Ma, negli ultimi dieci anni, sono aumentate le chiusure di attività tradizionali, come librerie, negozi di abbigliamento, arredamento e alimentari.
La presenza di attività commerciali fa anche la differenza sul mercato delle abitazioni. Una casa in un’area ben servita da negozi vale in media il 23% in più rispetto a zone con offerta commerciale standard. Al contrario, nei quartieri colpiti da desertificazione commerciale il valore degli immobili cala del 16%, con un divario complessivo che può raggiungere il 39% rispetto alle aree più dinamiche.
Due italiani su tre chiedono più negozi sotto casa. A spingere questa richiesta sono due fattori: la possibilità di scegliere tra più alternative e la necessità di ridurre gli spostamenti quotidiani. Il desiderio di un mix tra piccoli e medi negozi tocca picchi del 75% nelle città medio-piccole e nel Mezzogiorno. In questo quadro, il trasporto pubblico è l’elemento più critico: nelle città con oltre 50.000 abitanti, il 58% degli intervistati ritiene che un miglioramento della mobilità favorirebbe una maggiore frequentazione di negozi e locali nei centri storici. Seguono la richiesta di più parcheggi (43%) e l’estensione delle aree pedonali (42%).
La chiusura di negozi è tra i segnali più allarmanti per gli italiani. L’80% prova un senso di tristezza nel vedere vetrine vuote e il 73% associa le saracinesche abbassate a un peggioramento della qualità della vita. Negli ultimi dieci anni, gli italiani hanno soprattutto notato la scomparsa di librerie, negozi di articoli sportivi e giocattoli (55%), di attività non alimentari come abbigliamento e profumerie (49%), oltre a ferramenta, negozi di arredamento (46%) e alimentari (45%). La tendenza è più marcata nel Nord-Est, nel Centro e nelle grandi città. Solo farmacie e pubblici esercizi mostrano una leggera crescita.
Nei consumi fisici, i negozi di quartiere dominano in alcune categorie: bar e pub (88%), farmacie (87%), tabaccai e quotidiani (85%). Supermercati e grandi superfici restano invece preferiti per i prodotti alimentari a lunga conservazione (64%), articoli sportivi (58%) ed elettronica (56%). Gli ambulanti mantengono un ruolo significativo per il fresco (11%) e per l’abbigliamento (10%).
Nelle città con forte pressione turistica, molti residenti percepiscono uno squilibrio nell’offerta commerciale: il 49% segnala la crescita eccessiva di attività legate al cibo e il 23% l’espansione di negozi rivolti ai turisti con prodotti di bassa qualità. Il 17% parla esplicitamente di sostituzione dei negozi tradizionali con attività turistificate, con conseguente perdita di autenticità.
Gli affitti brevi sono considerati un fattore rilevante nella crisi abitativa: metà degli intervistati li associa all’aumento dei canoni e il 42% alla riduzione degli alloggi disponibili. Solo il 24% riconosce un beneficio nel recupero di spazi inutilizzati, mentre prevale una percezione negativa (46%), soprattutto nelle grandi città.







































