La terra continua a tremare nella zona di Sora, in provincia di Frosinone, interessata da giorni da uno sciame sismico che preoccupa la popolazione.
La prima scossa, di magnitudo 3.4, è avvenuta a 3 chilometri a Nord di Sora, il 22 giugno scorso alle 18,37, ad una profondità di 16 chilometri.
Al primo evento tellurico sono seguite altre 4 scosse: sempre il 22 alle 18,51 di magnitudo 2.4, sempre a una profondità di 16 chilometri; poco dopo, alle 20,39 si è verificata un’altra scossa di magnitudo 2.0 ad una profondità di 17 chilometri.
Il 23 giugno alle 19,07 è avvenuto un terremoto di magnitudo 2.9 ad una profondità di 15 chilometri e il 24 alle 02,35 di magnitudo 2.2 alla stessa profondità.
“La zona interessata dagli ultimi eventi sismici, va analizzata considerandola nel suo insieme come area sismogenetica – ha spiegato il geofisico e sismologo aquilano Christian Del Pinto – questo perché le sorgenti sismiche sono delle schematizzazioni. Nessuno sa per indagini dirette come sono fatte in realtà le geometrie delle faglie e per questo si preferisce parlare di aree sismogenetiche. L’area in questione, in cui c’è uno sciame in atto, è la stessa del sisma che si è verificato a Collelongo il primo gennaio del 2019, evento che ha toccato una magnitudo di 4.1”.
Per l’esperto: “Si tratta quindi di una zona importante per diversi motivi. Innanzitutto, è una zona di confine tra la sismogenesi del Fucino e quella della Val di Comino. Conosciamo le potenzialità del Fucino e anche nell’area del Comino c’è stato un evento importante nel 1984, di magnitudo 5.9”, ha aggiunto.
“Con il terremoto di Collelongo è emerso un elemento che potremmo definire nuovo: la profondità erano maggiori rispetto al modello di sismicità di quella zona; la scossa del 2019, infatti, ha avuto una sorgente sismica più profonda rispetto alla fascia identificata dalla storia degli eventi tellurici passati a 13 chilometri”, ha sottolineato Del Pinto.
Diversi addetti ai lavori, dunque, hanno ipotizzato che “il meccanismo si era attivato in maniera più profonda – ha ricordato -, tanto che all’epoca ho chiesto di intensificare il monitoraggio sull’area, per studiare quella maggiore profondità che ha fatto collegare quel fenomeno più al versante del Fucino, rispetto a quello laziale”.
Per il sismologo “questi ultimi terremoti hanno avuto le stesse caratteristiche di quello di Collelongo di due anni fa: l’area e la profondità sono le stesse. A distanza di due anni, non so se l’Ingv abbia fatto degli studi o intensificato la raccolta dati, ma continuo a battermi affinché venga realizzata una struttura istituzionale che vada ad affiancare la struttura già esistente, perché verrebbero utilizzate tecniche di studio e ricerca non comuni a livello nazionale. Speriamo che questo invito venga recepito, perché dobbiamo ricordarci sempre che ad analizzare i dati dopo che gli eventi si sono realizzati è diverso dal prevenirli. La differenza la fa la prevenzione, i progetti e le competenze ci sono, le tecnologie anche, basterebbe metterli sul campo”, ha proseguito Del Pinto.
“Naturalmente eventi di questo tipo non costituiscono una eccezione, l’Appennino è sismico nella sua interezza, quindi eventi successivi a quelli verificatisi negli ultimi giorni a Sora non si possono escludere, qualche replica di magnitudo simile ci potrebbe essere, come potrebbe non verificarsi per diverso tempo. In ogni caso – ha concluso il geofisico – il modello di sismicità va aggiornato ancora e spero che sia stato aggiornato già con l’evento di Collelongo del 2019. Siamo di fronte a un meccanismo di movimento, di scorrimento, che interessa proprio la profondità rilevata a Sora e dal punto di vista geologico sono situazioni molto vicine. Tra l’evento di Collelongo del 2019 e quello di Sora di ieri non vi è un discorso di causa-effetto, sia chiaro: la zona si sta muovendo, e questa è la causa, l’effetto sono i due sismi e le relative repliche. Bisogna continuare a monitorare questa zona di frontiera che si trova tra Lazio e Abruzzo, zona in cui si incontrano questi due sistemi sismogenetici importanti”.