Tiziano Genovesi, durante la scorsa campagna elettorale, che ha consegnato, alla fine, la fascia tricolore a Gianni Di Pangrazio, è stato accusato più volte di essere alla mercé degli aquilani.
Candidato sindaco della Lega, ora siede tra i banchi dell’Opposizione in assise e anche lui è stato testimone delle parole di Di Pangrazio, primo cittadino, pronunciate ieri in Consiglio, 13 gennaio sulla città capoluogo. “L’Aquila accusata di dirigere i territori, di essere chiusa fra le sue mura, di mettere dei tentacoli”. Di Pangrazio aveva asserito di non aver “incluso L’Aquila nella Grande Marsica, non perché voglio fare l’anti-aquilano anzi, (…) ma perché L’Aquila è costruita dentro le mura. Questa loro mentalità di essere ‘costruiti’ dentro le mura li porta chiaramente a non aprirsi spesso nei confronti dei territori”.
Per Genovesi, la “Grande Marsica va bene, ma – aggiunge – per ora non esiste, non ha una base giuridica, è una mera idea. Quello che è sbagliato è questo atteggiamento di chiusura verso altre realtà, di doversi sempre contrapporre ad altri. Cioè, mi spiego meglio, è insensato fare guerre agli altri per emergere. E’ vero che la Marsica deve contare di più a livello non provinciale, ma regionale. Deve avere quello che merita nelle dinamiche regionali, in Abruzzo, anche perché 37 comuni – e quindi 37 sindaci – sono una forza politica non indifferente e anche economica propulsiva”, dice il leghista.
Sulle parole di Di Pangrazio rivolte al capoluogo, afferma: “Creare una unione zoppa in partenza è da perdenti. Non scordiamoci che nelle guerre e nelle battaglie il più debole perde. Noi dobbiamo rivendicare il nostro ruolo in altri modi, dobbiamo avere un sindaco che sappia intrecciare rapporti importanti e politici con la Regione e il Governo nazionale. Che sappia creare ponti e non recinti – dichiara – lui non è riuscito perché non ha questa capacità. Io ho sempre parlato dell’importanza della filiera, di dialogare costantemente con gli altri piani politici, di prendere i treni giusti a livello regionale, nazionale e internazionale, di farsi trovare preparati a discorsi più ampi, ad intese, a ragionamenti e vedute più larghi. Agire di campanilismo, in questa pandemia, è davvero da ciechi: se c’è una cosa che il Coronavirus ci ha insegnato, è che il mondo è ampio e vario e le barriere non fanno mai bene. Ci ha insegnato che vince l’inclusione e non l’esclusione, che tiene banco la coesione tra più soggetti, enti e realtà. Fare campanili è un atteggiamento da 1400”.
I rapporti politici e i dialoghi tra Enti e territori, per Genovesi, sono la vittoria. “Un sindaco civico non ci traghetterà da nessuna parte”.