In Abruzzo al 2020 risultano consumati 55.668 ettari di suolo pari al 4,99% del territorio regionale; di questi 246 ettari, pari alla superficie di ben 350 campi di calcio, sono stati antropizzati recentemente tra il 2019 e il 2020.
Sono tantissimi i dati contenuto nel ponderoso rapporto “Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici. Edizione 2021” divulgato dall’ISPRA in settimana, documento che a nostro avviso tutti gli amministratori e i funzionari di comuni, province, regione, soprintendenze, aree protette ecc. nonché di associazioni (in primis di costruttori), sindacati ecc dovrebbero leggere attentamente per gli enormi risvolti che ha sulla vita della comunità abruzzese.
Scrive l’ISPRA, sull’aumento di suolo consumato tra il 2019 e il 2020: “In termini di incremento percentuale rispetto alla superficie artificiale dell’anno precedente (Tabella 34), i valori più elevati sono in Abruzzo (+0,46%), Molise (+0,37%), Sardegna (+0,32%) e Veneto (+0,31%)”.
Tra l’altro, scrivono i ricercatori: “Molise e Abruzzo sono le regioni che presentano valori superiori al doppio del dato nazionale sul consumo di suolo pro capite rispetto all’aumento di consumo di suolo tra 2019 e 2020 (1,91 m2/ab contro 0,87 m 2 /ab).”
Se si amplia il periodo di riferimento prendendo l’arco temporale 2012-2020, l’aumento % di superfici artificiali in Abruzzo è di 2,65 contro una media di 2,13: si tratta della quarta regione italiana per aumento.
L’ISPRA stigmatizza il fatto che il consumo di suolo continua ad aumentare nonostante la popolazione diminuisca (nella regione si registra, infatti, una diminuzione della popolazione residente di oltre 6.700 abitanti e un incremento del suolo consumato di quasi 2,5 km2). Nel rapporto infatti si legge che “L’indicatore di consumo di suolo marginale evidenzia che, in un periodo storico di decrescita della popolazione, regioni con valori alti di consumo di suolo e decrescita demografica restituiscono i valori (negativi) relativi alla minore sostenibilità. Si tratta ad esempio di Veneto e Abruzzo con valori negativi oltre il valore nazionale (-368 contro la media di -295 m 2 /ab), sintomo di consumi di suolo elevati a fronte di decrescite della popolazione.”
Si continua a trasformare il territorio anche nelle aree protette abruzzesi. Scrivono i ricercatori “Tra il 2019 e il 2020, le aree protette italiane hanno re gistrato un incremento complessivo del consumo di suolo pari a 65 ettari, dei quali 17,1 sono concentrati nella regione Lazio e 8,5 in Abruzzo.”.
In particolare, tra tutti i parchi italiani, il Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise è secondo per aumento (4,5 ettari) dopo il Parco dei Sibillini, il secondo peggior dato anche se si tiene conto della superficie (con una densità di consumo di suolo tra il 2019 e il 2020 di 0,9 m2/ettaro).
In Abruzzo oltre un terzo (esattamente il 35,1%) del suolo consumato (quindi in gran parte edifici, infrastrutture ecc) è localizzato in aree a rischio alluvione, quasi dieci punti percentuali sopra il dato nazionale. Stiamo parlando di 19.000 ettari (cioè 27.000 campi da calcio!) in aree che possono essere raggiunte da alluvioni. Tra l’altro ben l’8,8% della superficie consumata è nella categoria di maggior rischio (quinta regione in Italia).
La cosa sconvolgente è che si continua a consumare suolo proprio in aree a rischio alluvionale, visto che tra il 2019 e il 2020 in Abruzzo ben 30,1 ettari (43 campi da calcio) sono stati modificati nelle zone a rischio (per giunta con un aumento percentuale dello 0,81% maggiore dello 0,73% nazionale).
Un po’ meglio (si fa per dire) la quota di suolo consumato in aree a rischio frana, con il 12,6% del suolo consumato in una delle varie categorie di rischio, pari a circa 6.600 ettari. Tra il 2019 e il 2020 in Abruzzo si è continuato a consumare suolo anche nelle aree a rischio frana per ben 29,1 ettari, la seconda regione peggiore in Italia dopo il Veneto per aumento percentuale (il dato abruzzese rappresenta in assoluto il 10% del consumo di suolo nelle aree a frana in Italia nel periodo considerato).
L’Abruzzo è la terza regione italiana dopo Liguria e Marche per occupazione della fascia costiera entro 300 metri dal mare, avendo artificializzato il 36,8% del territorio in quella fascia! La cosa incredibile è che si continua a consumare suolo proprio in questa fascia visto che tra il 2019 e il 2020 vi è stato un ulteriore incremento dello 0,2% del consumo di suolo, secondo solo a quello del Molise (0,34%).
La stessa ISPRA non si trattiene dall’esprimere la propria costernazione rispetto a questo dato “Desta preoccupazione il fatto che la densità dei cambiamenti in fascia costiera sia ancora molto superiore rispetto al resto del territorio, a livello nazionale e in quasi tutte le regioni, e che nelle Marche e in Abruzzo si siano superati i 7 m 2 /ha di nuove artificializzazioni ogni ettaro di territorio entro i 300 metri dal mare”.
Nel rapporto ISPRA si da spazio ad un approfondimento sulla costa Adriatica di diversi ricercatori (approfondimento “La costa adriatica: lo stress test sud europeo dei processi di consumo di suolo”) dove gli autori, dopo aver analizzato i dati, arrivano a sostenere che “Considerando che una tale dinamica si sviluppa in totale assenza di meccanismi di controllo, oltreché di misura a regia centralizzata, e soprattutto senza al cuna contropartita compensatoria, la crescita di un nuo vo insediamento costiero delle dimensioni paragonabili a quelle di una città come Lecce in sei anni fa emergere una patologia incontrovertibile, allontanando irrimediabilmente il Paese dagli obiettivi di emanazione europea sull’azzeramento del consumo di suolo entro il 2050. Tutto ciò inoltre concentrato sulla fascia costiera e quindi con conseguenze inevitabili, tra l’altro, sulle capacità di infiltrazione idrica del suolo sia anche sul ruscellamento superficiale, con effetti diretti ed indiretti sulle dinamiche di trasporto solido dei fiumi e quindi sul la morfodinamica costiera”.
Tutti questi dati dovrebbero far riflettere attentamente circa la vulnerabilità della nostra regione rispetto al rischio idrogeologico e ai fenomeni estremi nonché alla questione dell’innalzamento del livello del mare a causa del cambiamento climatico.
Vi è di più! Il suolo garantisce la possibilità di stoccare carbonio e di produrre errate alimentari e legname. Inoltre offre altri servizi ecosistemici fondamentali, giocando ad esempio un ruolo fondamentale sul ciclo delle acque attualmente in forte crisi.
L’ISPRA ha calcolato per l’Abruzzo una perdita di carbonio immagazzinato di circa 200.000 tonnellate a causa del suolo perso tra il 2006 e il 2020. In Italia la perdita di questi servizi ecosistemici garantiti dal suolo (immagazzinamento di carbonio; produzioni agricole; produzione di legname; conservazione del ciclo idrico), è stata pari ad una cifra tra gli 32 e i 33 miliardi di euro per il suolo perso tra il 2012 e il 2020. Circa 3 miliardi di euro l’anno si perdono solo per gli effetti sul ciclo delle acque, con maggiore ruscellamento superficiale sulle aree antropizzate e mancata infiltrazione con gravi conseguenze sulla ricarica delle falde e sulla disponibilità idrica, oltre ad averi effetti negativi sul rischio alluvione.
Infine l’ISPRA dedica un capitolo agli effetti del consumo di suolo e altri fattori connessi (erosione ecc.) sulla qualità degli habitat. Emerge chiaramente dalle mappe come le aree collinari abruzzesi stiano perdendo progressivamente qualità a causa del consumo di suolo che incide appunto sulla qualità degli habitat.
Per Forum H2O e SOA i dati devono portare, come d’altro lato sottolineato da ISPRA, a immediati provvedimenti per fermare il consumo di suolo introducendo vincoli chiari senza alcuna possibilità di deroga. È desolante constatare che si continua pervicacemente a promuovere la cementificazione del territorio, per giunta in aree fragili e lungo la costa come a Ortona, dove la proposta di Piano regolatore intende consentire la costruzione di aree immense con centinaia di migliaia di mc di nuovo cemento scommettendo su un fantasioso aumento della popolazione di 1/3 della città (!) in un comune che già oggi ha una superficie comunale antropizzata ben oltre la già disastrosa media italiana, e a Pineto, dove si vogliono realizzare altri edifici turistici in una delle pochissime aree costiere scampate al cemento.
Davanti ai dati dell’ISPRA e alle immagini provenienti dalla Germania, peraltro simili a quelle di tante tragedie vissute in Italia, queste proposte sono a nostro avviso letteralmente deprimenti e vanno rigettate immediatamente.