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Solo 5 condanne per Rigopiano, la rabbia dei parenti

Alla fine risultano dieci anni e quattro mesi di condanne complessive rispetto ai 151 anni e mezzo chiesti dalla procura

Solo cinque condanne, di cui tre per responsabilità legate alla sicurezza stradale e all’agibilità del resort, e 25 assoluzioni per la tragedia dell’Hotel Rigopiano di Farindola, travolto e distrutto, il 18 gennaio del 2017, da una valanga, evento in cui morirono 29 persone fra ospiti e dipendenti.

Questo il quadro della sentenza pronunciata nel pomeriggio dal gup del Tribunale di Pescara, Gianluca Sarandrea, che in dodici minuti di lettura smonta l’inchiesta della locale procura durata 22 mesi, fa sparire il reato di disastro colposo, e consegna ai parenti delle vittime e ai superstiti del disastro un verdetto ritenuto inaccettabile dai familiari che scatena la rabbia e il caos in aula.

Una sentenza che non riesce a definire il “modello di amministratore pubblico che aveva il dovere di prevedere la valanga ed evitare la tragedia” come aveva auspicato il pm, Giuseppe Bellelli. Assolti da responsabilità l’ex prefetto di Pescara, Francesco Provolo e l’ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco, oltre ai dirigenti regionali e prefettizi, a finire condannati sono due dirigenti della viabilità della Provincia di Pescara – Paolo D’Incecco e Mauro Di Blasio, tre anni e quattro mesi di reclusione ciascuno – responsabili di non avere trovato una turbina per sgomberare la strada dalla neve e di non avere chiuso un tratto della Sp 8. Condanna anche per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta (due anni e otto mesi di reclusione), per non avere emesso un’ordinanza di inagibilità e di sgombero dell’Hotel Rigopiano. Gli altri due condannati sono il gestore dell’albergo Bruno Di Tommaso e Giuseppe Gatto – sei mesi di reclusione ciascuno – redattore della relazione tecnica allegata alla richiesta della Gran Sasso spa di intervenire su tettoie e verande dell’hotel per l’accusa di falso.

Alla fine risultano dieci anni e quattro mesi di condanne complessive rispetto ai 151 anni e mezzo chiesti dalla procura; nessuna responsabilità è stata accertata per la mancata definizione della carta di localizzazione del pericolo da valanga (Clpv). Veemente e viscerale la reazione dei parenti delle vittime e superstiti alla lettura della sentenza: alcuni cercano di avvicinare il giudice probabilmente per tentare di aggredirlo, tra le urla che si levano in aria “vergogna, vergogna. Ingiustizia è fatta. Assassini. Venduti. Fate schifo” e il pronto intervento delle forze dell’ordine, per placare gli animi e bloccare i più incattiviti.

Restano più di un dubbio e molte ombre sul processo, come rilevato da Rossella Del Rosso, sorella di Roberto, proprietario dell’Hotel Rigopiano di Farindola, morto sotto la valanga. “La catastrofica gestione dell’emergenza da parte della Regione – ricorda -, completamente assente da questo processo; le telefonate del povero Gabriele D’Angelo al Coc di Penne e in Prefettura, in gran parte ignorate; la responsabilità di tutti i politici per la mancata attuazione della legge regionale 47 del 1992 (Norme per la previsione e la prevenzione dei rischi da valanga, ndr) che avrebbe impedito questa tragedia e per ultimo, non di poco conto, il ruolo esercitato dalla Dicomac nella fase dell’emergenza”.

Anche l’avvocato che assiste alcuni familiari delle vittime, Romolo Reboa, è perplesso e parla di cose “extra processo, fuori processo. Purtroppo i processi si fanno nei limiti del dedotto e del deducibile, ciò che avevo contestato l’ho contestato espressamente in aula, l’ho contestato varie volte, non sono nuovo a queste contestazioni. Voglio sia chiaro che chi è stato dichiarato non colpevole in questo momento è non colpevole. La legge va rispettata. Il problema era capire se i veri colpevoli stavano o meno dentro questo processo, ma questa è un’altra vicenda”

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