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Tra rapaci, tre lupi ed i segreti dei mongoli, il falconiere d’Abruzzo Giovanni Granati si svela in un film

Solo quando l’uomo capirà veramente sé stesso, avrà capito anche la lingua madre della natura. Prima del volo, c’è il salto e prima del salto, c’è il coraggio. «La falconeria non è un lavoro e nemmeno un mestiere. È un modo di essere ed una necessità del cuore: in essa, si vive in perfetta simbiosi con gli animali. Da 15 anni a questa parte, io mi occupo di quest’arte a tutto tondo». Giovanni Granati, in arte Falcong, forse, nacque 33 anni fa assieme al suo sogno, che è un po’ quello che accomuna tutti gli animali che odiano le gabbie, le cappe, le imposizioni e le catene ai polsi. Nacque, cioè, con il sogno della libertà. Oggi, all’età di 33 anni, dopo aver dato alle stampe un libro di favole ispirato proprio alla fauna simbolo del nostro Abruzzo ‘indisciplinato’, può ben dire di aver realizzato questo suo sogno maldestro ma anche tanto prezioso. A Civitella Del Tronto, in provincia di Teramo, infatti, fra mille avversità della vita cittadina sociale, c’è un piccolo paradiso dedicato a lupi, rapaci e cavalli andalusi. Qui, Giovanni Granati, in arte falconiere, addestra e cura la libertà selvaggia assieme alla creatività. «Ho imparato a coltivare insieme le mie cinque passioni, come se fossero cinque bussole della mia esistenza. Successivamente, mi sono ritrovato a doverle fondere in un unico aspetto, un po’ per necessità ed un po’ per virtù», dice.

 

Giovanni Granati ha rapito ed addomesticato, cioè, la parte più selvaggia d’Abruzzo. Spettacoli dediti all’arte falconiera, show a metà strada fra il lusso di un volo di falco e la bellezza pura di una filastrocca musicale, cantata al pianoforte. Un artista poliedrico, insomma, che non ha di certo avuto paura di fare la differenza. Circa tre anni fa, Giovanni ha pubblicato un compendio di favole per bambini dal titolo di ‘I nostri amici animali’, il quale si è arrampicato letteralmente sulle vette delle due Fiere internazionali del Libro di Milano e di Roma, un po’ come un moderno Fedro all’arrembaggio, ma con il cipiglio per gli animali selvatici regionali. Professionista della palestra fino al tragico epilogo del terremoto aquilano (2009), Giovanni poi ha scelto però di focalizzarsi solamente sulle sue capacità e sulle sue passioni innate, portando alla luce un mondo rupestre, antico, genuino, ma moderno al tempo stesso, che ha tanto da dire e da raccontare alla società di adesso. «Mi sono avvicinato – racconta – dapprima alla magia del pianoforte, in quanto ho incominciato a suonare all’età tenera di 6 anni. Allora, appena affacciato alla finestra della vita, vivevo a Roma. Successivamente, quando mi sono trasferito all’Aquila, è scoppiato questo fervido amore per la falconeria. Affascinato dal falco, «colui cioè che detiene la capacità massima di volo nell’aria, – afferma Giovanni – mi sono, poi, accostato ad alcuni falconieri, ognuno specializzato in una particolare tipologia di questa disciplina. A mio avviso, però, il miglior maestro della libertà è proprio il falco, almeno in natura. Per quanto si possano apprendere tanti rudimenti dall’essere umano, infatti, l’insegnamento migliore ci arriva, secondo me, proprio dalla specie animale: ciò che si apprende dal mondo degli animali, nessuno dotato dell’arte della parola lo può insegnare; la vera maestra, non dimentichiamolo mai, è la natura».
10701999_4765951923884_6420638333265031889_nNel suo libro di favole e di racconti ‘selvaggi’, per così dire, si trasmettono, infatti, molte nozioni relative, ad esempio, al falco pellegrino, tramite, però, l’architettura di una storia di fantasia. «Attraverso un mondo altro e magico al contempo, il bambino riesce ad immagazzinare informazioni reali, che gli serviranno, poi, quando crescerà, per rispettare madre natura». Il rapporto uomo-animale libero, in effetti, quindi assolutamente non domestico, ossia non ricostruito in maniera artificiale dall’uomo, è ancestrale ed esiste da sempre. La falconeria è, in definitiva, infatti, un’arte talentuosa per pochi eletti. «Bisogna nascerci un po’ falconiere. – specifica Giovanni – Io, ad oggi, ad esempio, vivo con tre bellissimi esemplari di lupo cecoslovacco. Li ho scelti come compagni di esistenza, perché sono molto vicini al cane per conformazione e per addestramento, ma mantengono pur sempre quella goccia del rischio un po’ wild tipico del lupo, che li distanzia dal resto dei loro cugini canini». L’arte della falconeria è nata, precisamente, 6 mila anni fa, quando la popolazione itinerante dei Mongoli, nell’Asia Orientale, utilizzava le aquile reali per cacciare cacciagione e sfamarsi a sua volta. «Avevano addestrato, sempre nel senso più sensibile del termine, quasi da pari a pari quindi, le aquile reali, ossia questi animali imponenti e forti, per riuscire a convivere con esse e non a governarle, nel massimo rispetto, cioè, e nella massima funzionalità biunivoca che potevano dare. Noi uomini oggi ci stiamo allontanando sempre più da quella che è la vita in senso stretto. – aggiunge Giovanni – Ognuno di noi cerca sempre più lontano una meta che poi, in realtà, nutre già dentro di sé. Le persone sono abituate a narcotizzare i loro sensi poiché ricercano una luce che non trovano: si tratta di una ricerca cieca che non porta a nulla».

 

13521993_10208221246361927_2736614808329085996_nLe varie forme d’arte che Giovanni Granati abbina nei suoi spettacoli pubblici di falconeria, intingono le loro radici in cinque arti tutte diverse tra di loro, ossia: falconeria, addestramento dei lupi cecoslovacchi, arte equestre, musica e scrittura. Nel futuro prossimo di questo invincibile difensore della beltà più pura dell’animale, c’è anche la volontà di scrivere un vero e proprio Trattato di Falconeria vertente su tutto ciò che Giovanni ha imparato ed appreso nel corso degli anni sino ad ora. «Anche se poi, in realtà, – avverte – ogni giorno c’è qualcosa di nuovo da imparare, soprattutto dagli animali». Il falconiere Giovanni propone, di fatti, spettacoli e show assai particolari, in cui le cinque arti predette si fondono in un abbraccio melodico, ancestrale, spirituale e soprattutto didattico. «Come mi è venuta l’idea di abbinare la musica alla falconeria? Facile: le sette note, secondo me, sono il riassunto di ciò che i rapaci esprimono e compiono in volo. Le musiche che suono al pianoforte, sono di Allegri ed Einaudi; prediligo infatti brani molto puliti; ciò che cerco di attuare nei miei spettacoli, è la tattica di far provare alle persone che ascoltano la musica, quello che provo io quando miro volare i miei animali».

 

13418958_10208177746074447_6161189003580444928_nI tre lupi di Giovanni, di nome Wolf, Deha e Navarre, vivono in branco e rispettano tutti gli altri animali nel recinto della vita naturale scelta da Giovanni stesso. «Io vorrei arrivare, un giorno, ad avere sette lupi, membri di un unico branco, perché il branco è il loro habitus naturale. Mai snaturalizzare un lupo cecoslovacco in merito al suo parente più prossimo, ossia il lupo, infatti. Ciò che cerco di fare io, è di rendere il più possibile svegli e vigili i loro istinti spontanei». In un’epoca in cui, insomma, il consumismo ed il materialismo sembrano essere diventati la nostra più vera natura, tutto diventa oggetto, come anche la stessa persona umana (l’oggetto forse più ambito di sé stessi). L’arte della falconeria, quindi, entro queste pareti, potrebbe davvero avere il compito di risveglia i sensi, i ricordi dimenticati e gli spiriti domati degli uomini. Dal 28 luglio al 3 di agosto 2016, una casa di produzione americana verrà a girare una parte di film proprio qui, in Abruzzo, a casa del falconiere Giovanni. Si tratterà di un documentario sulla falconeria e su come quest’arte indomita si è sviluppata nel corso delle varie epoche storiche. Fra i cinque falconieri prescelti di diversa estrazione geografica (un americano, un mongolo, un emiro ed uno scozzese), spicca anche lui: il falconiere tutto ‘nostro’ di Giovanni Granati. «Io vivo 10 ore al giorno in compagnia degli animali ed il restante tempo che ho, con le persone umane, lavorando, infatti, anche in una palestra. In realtà, ho scelto di continuare a portare avanti quest’altra occupazione ‘più ordinaria’, per non arrivare, anch’io, un giorno ad ululare proprio come i lupi, – sorride – anche se loro mi considerano già un membro del loro branco. Il rapporto con questo tipo di animali, deve essere da pari a pari. – afferma, infine, – Non si può essere autoritario con un rapace, ad esempio, cioè con un predatore. Anche perché il falco, in realtà, si sente, per natura, superiore all’uomo. Quando spicca il volo, è il falco che, discendendo sul mio guanto, utilizza il mio corpo come strumento di appoggio e come territorio, non sono io ad utilizzare lui. Io non ho ordini da dare agli animali; il mio addestramento è indiretto: capito questo, si comprende in toto l’arte meravigliosa della falconeria».

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