Scoperto un allevamento abusivo di cinghiali in un comune dell’area della Valle del Salto, con annesso mangimificio clandestino. Tutto parte da una soffiata anonima giunta ai centralini del Nas di Pescara. Viene segnalato un allevamento abusivo di cinghiali selvatici con conseguente commercializzazione delle carni. L’allarme sanitario è altissimo. Immediatamente scattano gli accertamenti. In un comune della Provincia dell’Aquila, a ridosso dell’area della Valle del Salto, viene individuato un compound che attira l’attenzione degli ispettori. La pista è quella giusta. In un capannone vengono contati 27 suini e 8 cinghiali. In un locale attiguo le carcasse di altri ungulati, verosimilmente abbattute durante la caccia. Sul posto viene richiesto l’intervento dei veterinari dell’Asl aquilana.
L’ipotesi è che quei cinghiali, una volta macellati, avrebbero potuto raggiungere le tavole degli aquilani. Il proprietario dell’impianto non ha fornito alcuna evidenza circa la sottoposizione, degli esemplari abbattuti, all’esame trichinoscopico. La trichinosi è una zoonosi parassitaria causata da nematodi, presente soprattutto nei suini e nei cinghiali. Di concerto con l’autorità sanitaria, i carabinieri del Nas di Pescara hanno quindi proceduto al sequestro di tutti gli animali vivi ed a quello delle carcasse. Tutto per scongiurare un’eventuale commercializzazione di carni potenzialmente pericolose per la salute umana.
Nel corso delle verifiche i militi notano un’ingente quantitativo di mangime ad uso zootecnico, non proporzionato con il numero di animali allevati. L’ispezione viene ampliata a tutti gli ambienti ed alle altre strutture del compound. L’intuizione è corretta. I militari si imbattono in un attività di produzione e commercializzazione di mangimi risultata essere completamente abusiva. Materie prime non rintracciabili, ambienti fatiscenti, ragnatele ovunque, escrementi di roditori e volatili impongono un provvedimento radicale. I militari, di concerto con la Asl, emettono un provvedimento di immediata sospensione delle attività mangimistiche e il divieto di commercializzazione di diverse decine di tonnellate di mangime. Gli accertamenti sono tuttora in corso. Ad una ventina di migliaia di euro ammonterebbero le sanzioni amministrative comminate al proprietario degli impianti.
Fonte AGI
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