Viaggiare rappresenta un ottimo spunto per scrivere storie interessanti, soprattutto se si parte con l’intenzione di scoprire posti nuovi, non da turista, ma da appassionata del mondo, delle antiche tradizioni locali, dei mestieri in via di estinzione e dei luoghi meno affollati ma più autentici; perdersi nelle strade delle città più belle, lontani dalle grandi attrazioni turistiche, con l’intento di conoscere davvero la destinazione in cui si è scelto di andare.
Questa estate, ho deciso di trascorrere qualche giorno a Venezia, città che da sempre mi incuriosisce. Al mio arrivo l’impatto non è stato dei migliori; mi aspettavo una città romantica, pacata, rilassante, invece mi sono trovata davanti una folla di turisti ed un’atmosfera a dir poco caotica. Raggiunto l’hotel e posati i bagagli, sono uscita, pronta per conoscere Venezia. Raggiungendo, dapprima, le località principali e più conosciute, ho preferito spostarmi subito dopo verso la periferia, immergendomi nelle numerose e strettissime ‘calli’ veneziane.
Mentre camminavo lungo questi ‘sentieri’, sono passata davanti ad una piccola finestra che emetteva una luce calda, per cui, incuriosita, mi sono affacciata. Dentro c’era un uomo che dipingeva delle maschere. Ho fatto il giro dell’edificio, per cercare una porta, e, una volta trovata, sono entrata in questo laboratorio di soppiatto. Immediatamente sono rimasta ammaliata dalla bellezza delle maschere di carnevale che riempivano il negozio; mille colori, forme ed espressioni che mi circondavano. Ho raggiunto l’artigiano e mi sono presentata, proprio per instaurare fin da subito un rapporto confidenziale. Ho cominciato a fare tante domande, volevo conoscere tutto di quel piccolo mondo che avevo davanti agli occhi.
Alessandro Fattori, detto ‘Baffo’, è l’artigiano-creatore-inventore di quelle bellezze, nato nel dicembre del 1957, a Venezia, nell’isola Giudecca, dove è cresciuto e vive tutt’ora. Da sempre appassionato di arte e artigianato, ha dedicato la sua vita a tutto ciò che riguarda la lavorazione di vetro e legno, fusioni, pitture, mosaico. Già da piccolissimo disegnava e, all’età di diciassette anni, ha cominciato a lavorare come venditore, per circa trent’anni, in Piazza San Marco, tra le più belle al mondo, praticando l’artigianato solo a scopo personale. Nel tempo, poi, ha deciso di dedicarsi anche alla creazione di maschere carnevalesche, lavorando la cartapesta, proprio per portare avanti una tradizione centenaria che, a Venezia, con l’avvento del mercato cinese, sta scomparendo.
«Siamo rimasti in pochissimi, nella città, a lavorare manualmente queste maschere con la cartapesta, utilizzata a Venezia dalla fine del 1200 – mi ha raccontato ‘Baffo’ – soprattutto quelle realizzate con materiali e tessuti di alta qualità, che io personalmente importo da Milano, Murano e Burano. Soprattutto per questo motivo ho deciso di aprire il mio laboratorio qui in periferia, proprio per allontanarmi dal grande turismo, dove è difficile essere apprezzati nella giusta maniera, anche se, attualmente, Venezia non tutela affatto gli artigiani, per cui, a noi pochi rimasti, resta difficile mantenere attività di questo tipo, cioè creare prodotti con materiali che costano molto». L’artigiano utilizza ottime passamanerie, vetro di Murano lavorato a lume, piume trattate e sterilizzate, cristalli di swarovski e cecoslovacchi, pizzi, tessuti e merletti pregiati di Burano. Dipinge le maschere utilizzando pitture ad olio, acquerelli e tempere ed utilizza spesso carte piumate, marmorizzate, carta varese – usate in passato per abbellire le copertine dei libri o le scatole – proprio per riprendere antichi motivi. Uno spettacolo per gli occhi.
Alessandro Fattori mi ha raccontato ancora: «i maschereri veneziani sono artigiani che mantengono in vita un nobile mestiere, che a Venezia esplose soprattutto tra il ‘600 ed il ‘700, anche se le prime notizie di questa figura risalgono al 1200. L’uso giornaliero delle maschere si verificava soprattutto nel periodo del Carnevale, che iniziava il 26 dicembre per concludersi il giorno delle Ceneri, anche se, a volte, venivano concesse delle licenze per poterla indossare già dal primo di ottobre. Il travestimento veneziano per eccellenza era la ‘bauta’, mantello nero e maschera bianca, sia per gli uomini che per le donne, per garantire il massimo anonimato ed azzerare le disuguaglianze durante il Carnevale, le feste, nei teatri e negli incontri amorosi. Altra maschera caratteristica era la ‘moretta’, un ovale di velluto nero utilizzata solo dalle donne. Le maschere diventate più famose fino ai giorni nostri sono quelle ispirate alle figure della Commedia dell’Arte: Pantalone, Brighella, Arlecchino, Colombina, il Dottore».
L’artigiano afferma ancora: «io, con la mia fantasia, realizzo le maschere ispirandomi ai vari momenti storici che ha vissuto Venezia, cosicché la storia non muoia mai. Mi diverto anche a realizzare la stessa maschera con tecniche e materiali diversi per dimostrare che la creatività non ha limiti». Alla domanda ‘credi che l’artigianato prima o poi scomparirà?’ ‘Baffo’ mi risponde: «non so se scomparirà, ma il problema è che viene dedicato troppo tempo alla divulgazione delle solite informazioni e poco tempo alla scoperta e alla conoscenza dei tesori, delle tradizioni e dei mestieri antichi. Fa sempre molto piacere quando qualcuno, scoprendo ad esempio il mio laboratorio, si incuriosisce e comincia a fare tante domande, perché ogni cosa ha una storia alle sue spalle, che è un po’ la storia di tutti noi, del nostro Paese».
Foto: di Elisabetta Venditti