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Sisma, sociologa: “Sentenza mina fiducia istituzioni”

Corvino: "Reazione collettiva fa emergere un nuovo senso civico"

“La corresponsabilità delle vittime risulta inaccettabile per ogni componente della comunità aquilana e di chi ha partecipato anche solo emotivamente a distanza. Attribuire anche fosse una parte di colpa alle vittime è qualcosa che mina la fiducia nelle istituzioni nella percezione dei cittadini”.

A sostenerlo è la docente di sociologia dell’Università di Perugia, Isabella Corvino, interpellata a proposito della sentenza choc del tribunale dell’Aquila che prevede il concorso di colpa per le 24 vittime nel crollo del palazzo di via Campo di Fossa.

“Ancora una sentenza che lascia increduli – spiega la Corvino all’ANSA – quella del Tribunale che riconosce una corresponsabilità delle vittime del terremoto dell’Aquila perché la condotta di queste fu ‘incauta’ nel trattenersi a dormire. Ancora una sentenza che da impulso ad una reazione collettiva che fa emergere un nuovo senso civico fatto di appartenenza e di valori relativi al senso di giustizia”.

Secondo la Corvino “la comunità dell’Aquila che era stata scossa dal terremoto si sente ora oltraggiata: sin dalle prime ore dal terremoto in molti si erano dati da fare per mettersi al servizio di chi era in difficoltà, per raggiungere chi era rimasto bloccato; la corsa degli aiuti si è estesa sin dal giorno dopo coinvolgendo civili e professionisti del soccorso, mostrando il vero potere di una comunità che davanti a certi eventi non può che rispondere in maniera coesa. I risultati degli interventi furono straordinari e le tante battaglie di questa comunità per l’accertamento delle responsabilità penali e civili insieme al lungo processo di ricostruzione sono stato un formidabile collante”.

Tornando alla fiducia minata la Corvino sottolinea che “per quanto si legge sui social, le istituzioni si chiuderebbero a riccio per salvaguardare se stesse sacrificando le vittime che non possono più difendersi”.

“Il risarcimento non potrà indennizzare la perdita delle persone care – conclude – e questo modo di affrontare la questione fa male al senso di comunità”.

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