Il 63% dei medici dell’Abruzzo pensa alla pensione anticipata e il 37% dei non pensionabili di lasciare il pubblico.
Ma circa il 67% degli ospedalieri vede ancora nel Ssn un baluardo del diritto alla salute, che mette le ragioni assistenziali davanti a quelle economiche. Solo l’8% pensa che gli straordinari meglio retribuiti possano risolvere il problema delle liste di attesa, che per il 42% si affronta assumendo personale
Quasi due su tre pensano di appendere in anticipo il camice bianco al chiodo, soprattutto per evitare presenti e futuri tagli alle loro pensioni, ma anche per i carichi di lavoro eccessivi. Ma a preoccupare è soprattutto quel 41% di loro che se tornasse indietro non sceglierebbe più di iscriversi a medicina e quel 10% che addirittura oggi pensa di cambiare proprio mestiere. Mentre l’idea di pagare meglio gli straordinari, come previsto dalla manovra è la ricetta idonea a tagliare le liste d’attesa per a mala pena un dottore su dieci.
A sondare l’umore dei medici abruzzesi, sempre più tentati di dire addio al servizio pubblico, è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di camici bianchi.
L’idea di tagliare in anticipo il traguardo della pensione sta passando per la testa del 63% di loro. A spingere l’80% dei medici al pensionamento anticipato è la paura di subire un taglio alla propria pensione, magari con misure retroattive come quelle introdotte nella manovra, anche se poi alleggerite con un successivo emendamento. Per l’altro 20% la causa sarebbe gli eccessivi carichi di lavoro.
Anche chi non è in età di pensione nel 37% dei casi sta pensando di lasciare il servizio pubblico. Il 20% per andare nel privato, un altro 7% all’estero, mentre un preoccupante 10% di scoraggiati pensa di cambiare del tutto attività.
Uno scoramento che trova conferma nel 41% che alle condizioni attuali tornando indietro nel tempo non sceglierebbe più di fare il medico.
Però le motivazioni di chi si sente ancora legato al servizio pubblico restano forti, il 67% che motiva la sua scelta con la coscienza di voler garantire a tutti il diritto alla salute, seguito dall’11% che percepisce ancora come un valore la sicurezza del posto di lavoro.
L’indagine punta poi ad analizzare le criticità nei reperti di medicina interna, quelli che in media assorbono circa il 50% di tutti i ricoveri ospedalieri. Per il 60% il problema numero uno resta la carenza di personale medico e infermieristico, soprattutto se rapportato alla intensità di cura medio-alta dei reparti di medicina interna, ancora classificati come reparti a bassa intensità di cura. La scarsa valorizzazione del medico di medicina interna nell’organizzazione del lavoro ospedaliero è invece segnalata dal 22% degli internisti. La scarsa o mancata integrazione tra ospedale e servizi territoriali è indicata dal restante 10%.
Quasi un plebiscito per l’utilizzo degli specializzandi a copertura dei vuoti in pianta organica con solo il 25% che pensa possano mettere a rischio la qualità dell’assistenza. Per il 56% è invece utile purché svolgano le loro attività affiancati da un tutor, mentre per il 19% servono, ma sarebbe utile semplificare la burocrazia che ancora vincola il loro utilizzo negli ospedali al parere delle Università.
Non convince infine la formula straordinari meglio pagati uguale meno liste di attesa, contenuta nella manovra economica, giudicata efficace solo dall’8% degli intervistati, mentre per il 43% serve assumere personale, per il 22% organizzare meglio le attività in modo da garantire un utilizzo più esteso sia delle apparecchiature diagnostiche che delle risorse umane. A parer del 26% andrebbe invece ridotta l’inappropriatezza prescrittiva.
Comunicato stampa