Il carcere di massima sicurezza dell’Aquila “attualmente ospita 162 detenuti, dei quali 121 sottoposti al regime differenziato di trattamento ex art. 41 bis dell’Ordinamento penitenziario e 15 detenuti cosiddetti comuni impiegati nelle lavorazioni domestiche”.
Lo ha detto il presidente della Corte di Appello dell’Aquila, Fabrizia Francabandera, nella relazione presentata all’inaugurazione dell’anno giudiziario, parlando della situazione della struttura di massima sicurezza dove è rinchiuso da alcuni giorni il boss di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro, presenza che il magistrato non ha menzionato.
“Permangono le criticità da tempo evidenziate in relazione alla difficoltà di garantire la separazione tra i gruppi di socialità differenti, con il seguito di procedimenti disciplinari e reclami al magistrato di sorveglianza, nonché quelle relative alle attività trattamentali. Per quanto attiene all’istruzione – ha aggiunto Francabandera – i detenuti sottoposti al regime di cui al 41 bis O.p. risultano iscritti ai percorsi scolastici di vario livello tutti come privatisti”.
In particolare nel periodo luglio 2021-giugno 2022 il numero degli iscritti è il seguente: 11 nei percorsi universitari, 6 nella scuola secondaria di secondo grado, 4 nella scuola secondaria di primo grado (medie); è attivo un corso di lingua italiana per stranieri al quale si sono iscritti in 7 e operano ministri di culti diversi.
In riferimento alla situazione carceraria del distretto abruzzese, il magistrato sottolinea che “la popolazione detenuta era pari, al 30 giugno 2022, a 1.765 persone, in aumento del 7%, ma non vengono segnalati gravi problemi di sovraffollamento”.
Gli uffici “hanno definito oltre 271 procedimenti, a conferma del grande lavoro svolto, spesso per affari notevolmente complessi, come quelli relativi ai molti detenuti in regime carcerario di massima sicurezza ospitati a Sulmona e L’Aquila”.
“Le tante criticità degli istituti di detenzione presenti nel Distretto non sono mutate significativamente rispetto al recente passato, ma fortunatamente quest’anno l’Abruzzo non è stato colpito direttamente dalla tragedia dei suicidi in carcere, fenomeno ancora frequente in Italia, come le cronache troppo spesso ci raccontano; fenomeno che costituisce la parte più eclatante di una sofferenza che permea l’intera istituzione detentiva e che deve indurci a riflettere da un lato sulla sicurezza degli istituti (sia per i detenuti, soprattutto i più fragili, i malati psichici, che spesso non trovano adeguata collocazione, sia per il personale), dall’altro sulla effettiva necessità del ricorso alla carcerazione, non a caso oggetto di profondo ripensamento nella riforma Cartabia, tema di civiltà non più eludibile”.