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Fiera tartufi d’Abruzzo: prodotto, processo e place

Le tre "P" sono il "segreto dell'eccellenza"

COMUNICATO STAMPA

 

L’eccellenza del tartufo d’Abruzzo, segnata da tre P, quella del Prodotto, e della sua qualità intrinseca, del Processo, che va dalla raccolta e coltivazione per arrivare alla trasformazione, e infine il Place, il luogo, nella consapevolezza che il tartufo è indissolubilmente legato ad un territorio al suo genius loci, alla tradizione e solo in minima parte la filiera può essere industrializzata e delocalizzata.

È questo solo uno degli spunti di riflessione offerti dal convegno “Il tartufo, lo stato dell’arte”, in scena all’auditorium di Renzo Piano, nell’ambito della prima giornata della seconda Fiera internazionale dei Tartufi d’Abruzzo, in svolgimento fino a domenica 3 dicembre al parco del Castello dell’Aquila, organizzata dalla Regione Abruzzo e con Arap braccio operativo.

Nel suo intervento al convegno del pomeriggio il vicepresidente della Regione, con delega all’Agricoltura, Emanuele Imprudente, ha sottolineato che “in passato i tartufi d’Abruzzo non hanno mai avuto una vera valorizzazione, e ci sono voluti 12 anni per approvare una legge ad hoc. Le istituzioni devono fare una sintesi di tutti gli interessi e le esigenze per far crescere tutto il sistema, con obiettivi chiari, concreti e ambiziosi. La Fiera è un passo importante di questa strategia, che deve anche creare una cultura del tartufo, una consapevolezza che questo prodotto può rappresentare per la nostra regione, che ha come valore aggiunto il 40% del territorio in aree protette”.

La prima giornata ha già registrato una alta affluenza di visitatori, che hanno potuto apprezzare e acquistare i prodotti negli stand e food track di oltre 60 aziende, che hanno offerto non solo tartufi, freschi e trasformati, nelle nove varietà abruzzesi, ma anche una ampia rassegna delle eccellenze enogastronomiche regionali.

Grande interesse ha suscitato il primo convegno della mattinata, “L’Abruzzo alla conquista dei mercati globali, crescita, innovazione e competitività”, e i masterclass dello chef aquilano William Zonfa, e dello chef siciliano Alessandro Miceli, nominato nella prima edizione ambasciatore del tartufo abruzzese nel mondo e titolare di due celebri ristoranti a Dubai.

Contemporaneamente, presso il vicino Circolo tennis Beppe Verna dell’Aquila, si sono svolti i primi incontri B2B tra diversi buyers internazionali e le aziende abruzzesi.

La professoressa Rita Salvatore, docente di Turismo Sostenibile all’Università di Teramo, ha evidenziato che “oggi il consumatore è sempre più riflessivo, non gli basta mangiare un prodotto, ma vuole pensarlo, ascoltare quello che ha da raccontare, la storia che c’è dietro, dare peso alla sua qualità e salubrità e il tartufo è un grande esempio di sapore territoriale, legato al genius loci, a differenza dei prodotti industriali”.

Stefano Sandrucci, presidente Accademia Italiana del Tartufo, ha evidenziato che “ad oggi si ha grossa difficoltà ad ottenere una certificazione e identificazione sancita per legge, che dice che con certezza, attraverso composizioni chimiche, che un tartufo provenga davvero da un determinato territorio. L’eccellenza gastronomica passa dunque anche per la ricerca scientifica, ed anche nella preparazione degli chef, perché molti ancora non valorizzano a pieno il tartufo, in base allo studio dell’analisi sensoriale”.

Roberto Fattore Erminio, dell’Appennino Food Group SPA, ha individuato come priorità “l’incremento della coltivazione tartuficola, perchè abbiamo grandi competitor in termini di capacità di fornitura del prodotto, e questo ci metterebbe al riparo anche dalle avversità climatiche che compromettono la raccolta nelle stagioni sfavorevoli. Il nostro territorio ha una grande vocazione su questo versante”.

Pasquale Zaccardi, della SZ Tartufi di Atessa (Chieti), ha invece chiesto l’istituzione di un tavolo tecnico, intorno a cui discutere, tre le altre cose, ” la necessità poter avere certificazione micologica per il tartufo bianco abruzzese, un passaggio fondamentale per poter diventare davvero competitivi, per affermare la nostra identità e specificità”.

Più di tenore tecnico scientifico gli interventi del professor Mirco lotti, e della dottoressa Alessia Marino, dell’Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento di Medicina Clinica, Sanità Pubblica, Scienza della Vita e dell’Ambiente.

Iotti ha illustrato le sperimentazioni dell’Ateneo sulla capacità di riproduzione dei tartufi in base alle dinamiche di diffusione e attecchimento delle spore, e i progetti in corso per valutare l’effetto dei diradamenti boscosi sulla produzione dello scorzone, e un progetto sulla cooperazione nella tartuficoltura, in Sicilia con partner Univaq.

La dottoressa Marino ha illustrato le tecnologie emergenti per valutare la qualità del tartufo, a cominciare dalla risonanza magnetica, “capace di valutare con esattezza la qualità di conservazione, da cui dipende anche il valore economico. Il campo magnetico è un valido strumento per determinare la freschezza del prodotto e poter determinare il numero di giorni dopo al raccolta, riesce anche rivelare cambiamenti e osservare cambiamenti della gleba, come marciume e gallerie causate da larve di insetti, non visibili ad occhio nudo”.

In conclusione, Leo D’Alessandro, presidente Coordinamento Associazioni Tartufai Regione Abruzzo, ha illustrato le iniziative negli istituti agrari di Pratola Peligna (L’Aquila) e Penne (Pescara), incentrati sull’addestramento e la cura dei cani da tartufo, e sulla micorizzazione delle piante. Gabriele Caporale, in rappresentanza dell’Associazione micologica tartufai abruzzesi, ha evidenziato il problema rappresentato dal taglio dei boschi e dell’impatto negativo, se non regolamentato, per la distruzione di preziose cave, in particolare del pregiatissimo tartufo bianco.

Le conclusioni sono di Romeo Ciammaichella responsabile internazionalizzazione di Arap, “questo convegno ha confermato che abbiamo un ambiente scientifico vivo che può sicuramente contribuire nella maniera più assoluta alla valorizzazione del nostro prodotto. Un ambiente fertile che va messo a sistema con i produttori e tutta la filiera e che può e deve certificare la qualità dei nostri tartufi. La ricerca scientifica e la tecnologia applicata sono il fermento dello sviluppo e questo vale anche nel settore agroalimentare”.

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