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Orsi, ATES: “Difficile prendere a modello PNALM”

Così scrive l'Associazione escursionisti e scialpinisti: "Non vogliamo che gli Enti Parco diventino comitati d’affari al servizio di gruppi di interesse locali"

“L’uccisione da parte di un orso di un escursionista in Trentino sta suscitando moltissima attenzione e polemiche. Ci sono degli articoli sul Corriere della Sera, ampiamente riportati su altre pubblicazioni e media, in base ai quali ci sarebbe una migliore gestione degli orsi in Abruzzo piuttosto che in Trentino. Sono stati intervistati l’ex Ministro Costa e il Direttore dell’Ente Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise (nominato come Direttore dallo stesso Ministro Costa immediatamente prima di dimettersi dalla carica)”.

Così scrive la ATES (Associazione escursionisti e scialpinisti) sui propri social.

“In realtà – prosegue – se si guardano i fatti è molto difficile prendere a modello il Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise per la gestione degli orsi e delle attività escursionistiche. In Trentino adesso ci si domanda se gli orsi non sono cresciuti troppo di numero. Da una decina che erano, in venti anni sono diventati un centinaio. Invece in Abruzzo da cento anni sono sempre sull’orlo dell’estinzione, sono sempre una cinquantina, servono sempre più soldi degli italiani per tutelarli. Perché?”

I soldi per tutelare gli orsi abruzzesi non bastano mai. Ci sono oltre cento dipendenti dell’Ente Parco (senza considerare quelli degli altri Parchi vicini), cinque volte di più di quelli dell’Adamello Brenta, a parità di territorio. In Abruzzo sono stati chiesti decine di milioni allo Stato perché bisogna riempire di reti tutte le strade abruzzesi, per tutelare gli orsi dagli incidenti. Sempre a chiedere soldi per tutelare gli orsi che però non crescono mai.
Ma come è possibile che in Trentino gli orsi crescono sempre di numero ed in Abruzzo stanno sempre per scomparire? Se poi magari gli Enti Parco abruzzesi pretendessero di dare lezioni al Trentino su come vanno gestiti gli orsi sarebbe proprio il colmo!”.

“Nelle interviste del Corriere si dà come elemento implicito di corretta gestione degli orsi la mancanza di aggressioni all’uomo.
In realtà però quello che è accaduto poche settimane fa nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise è che c’è stata la prima aggressione di un’orso all’uomo da centinaia di anni (a parte il caso di un pastore che stava cacciando un’orso già ferito a fucilate, negli anni 50). Quindi semmai la gestione degli ultimi anni degli orsi in Abruzzo, oltre ad essere un fallimento come numero di orsi, avrebbe comportato il primo attacco da centinaia di anni”.

“Inoltre negli articoli del Corriere della Sera si dice che alcuni divieti introdotti dall’Ente Parco sarebbero mirati alla convivenza con gli orsi”.

“L’Ente Parco vieta di andare nel territorio del Parco, in tanti percorsi, con i propri cani da compagnia, vaccinati, tenuti sotto controllo, a pochi metri dal padrone. Eppure poi c’è totale libertà per i cani da pastore. È una contraddizione incomprensibile.
Ad esempio un gruppo di cani da pastore può anche attaccare un’orsa e sbranare i cuccioli. Proprio nella zona di Scanno è stata trovata l’orsetta Morena uccisa, con morsi di un grande carnivoro, o più di uno, orso, lupo, o grossi cani. Attacco di un altro orso? Ma è difficile che un orso uccida una giovane femmina, senza la mamma vicino. Avrebbe senso l’uccisione della piccola per accoppiarsi con la mamma, ma altrimenti non c’è motivo. I lupi? Ma poi l’avrebbero mangiata. E i lupi mordono al collo. Un gruppo di grossi cani potrebbe benissimo aver messo in mezzo l’orsetta e poi averla uccisa a morsi che hanno fratturato le ossa, come ha evidenziato l’analisi veterinaria sulla carcassa. Anche se sazi, per cui non l’avrebbero sbranata e mangiata, l’avrebbero potuta uccidere per gioco”.

“Però l’Ente Parco tutto questo non lo sa? La perdita di una giovane femmina di orso è una tragedia immane ed una seria minaccia per la sopravvivenza di una specie in così grave pericolo di estinzione. Quante chiacchiere si fanno sulla tutela della biodiversità!”.

“L’Ente Parco vieta ad un silenzioso escursionista gli ampi pratoni perché potrebbe esserci una tana di orso (sui prati?), vieta ad un escursionista di vetta la percorrenza dei crestoni (dove è impossibile ci siano tane), vieta ad un solingo cavaliere una sterrata nei boschi (e nel Parco ci sono migliaia di cavalli bradi), vieta ad un escursionista con il proprio cane di compagnia vaccinato di fare una gran parte dei sentieri e sterrate, e poi ci sono le bande dei cani dei pastori nelle zone come il ferroio di Scanno e i vicini Coppi, aree tra le più importanti e preziose per gli orsi marsicani, e dove da qualche anno c’è una intensissima attività di pastorizia consentita dall’Ente Parco”.

“Poi è strano che da una parte l’Ente Parco mette tutta una serie di vincoli e divieti alle attività escursionistiche ma parallelamente a questi divieti l’Ente Parco autorizza ed addirittura pubblicizza: i nuovi ristorantini alberghetti nati nelle zone più selvagge del Parco (come strategia di marketing li chiamano “rifugio” o addirittura “ecorifugio”). La trasformazione degli stazzi abbandonati da decenni e diruti in albergo diffuso per turisti. Le gite in gruppo guidate crepuscolari e notturne, gli ecosafari, fatti apposta per incontrare gli animali selvatici”.

“Negli orari crepuscolari (alba e tramonto) e notturni si registra la maggiore attività degli orsi, è più facile che ci sia un incontro. Con i ristorantini alberghetti, gli stazzi albergo diffuso, le gite crepuscolari, si è andati come umani ad occupare l’ultimo spazio e rifugio rimasto agli orsi: il buio e la notte”.

Fino a qualche anno fa nel Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise quando scendeva il buio, la notte, il territorio diventava il regno esclusivo degli animali selvatici. Cinquecento chilometri quadrati di montagne e foreste a totale disposizione di orsi, lupi, cervi, caprioli, camosci. Ora invece nel Parco, nelle zone più selvagge e remote, ci sono dei nuovi ristorantini alberghetti ed una rete di alloggi albergo diffuso ricavati dalla ricostruzione di antichi stazzi abbandonati da decenni e ormai diruti. Dove era il regno degli animali selvatici, l’assoluto silenzio, la quiete, il buio, ora è un via vai di umani diurno, crepuscolare e notturno, fuochi, odori di cucina, luci, voci, suoni, odori vari, una grande quantità di escrementi umani. Come umani siamo andati ad occupare l’ultimo ed ormai unico e disperato rifugio degli animali selvatici: il buio e la notte”.

“Inoltre con la rete di ristorantini alberghetti nelle zone selvagge e degli stazzi trasformati in albergo diffuso e dei rifugi per i guardiaparco concessi in pied a terre, si è creata un’interruzione al passaggio degli animali selvatici tra una valle di foreste e l’altra. Dove era il regno degli orsi ora c’è l’albergo diffuso. Questo crea anche un’abituazione degli orsi e degli altri animali selvatici agli umani benevoli, il prodromo della confidenza (la frequentazione dei paesi), che ormai è diventata una delle peggiori minacce alla sopravvivenza della specie degli orsi marsicani, l’animale simbolo dell’Abruzzo”.

“Sicuramente si è creata, con l’invasione umana della notte, una frammentazione dell’unicum che era il territorio con il buio, regno esclusivo degli animali selvatici, un deterioramento dell’habitat, forse addirittura una devastazione dell’habitat per gli orsi che era costituito dall’insieme del territorio vasto ed integro del Parco più la notte, il buio. Non riesco ad immaginare un deterioramento dell’habitat degli animali selvatici maggiore di una presenza di umani notturna con l’albergo diffuso nelle zone più selvagge d’Italia e d’Europa”.

“Due anni fa l’Ente Parco ha introdotto un nuovo regolamento per le attività escursionistiche in base al quale nel comune di Bisegna sono stati vietati gli ampi pratoni della Rosa Pinnola e del Monte Argatone per lo sciescursionismo, sono state vietate le strade sterrate (che fanno le macchine) ai cavalieri, alle mountain bike, a chi fa una passeggiata con il suo cane di compagnia”.

“Però l’Ente Parco ha autorizzato la possibilità di andare con qualsiasi mezzo al ristorantino alberghetto sorto in una delle zone più integre e selvagge d’Europa. Ci si può andare a piedi, con gli sci da escursione, con le ciaspole, con il cane, in bici, a cavallo, con i cammelli. Anche se i sentieri per arrivarci attraversano le foreste tra le più preziose e meno frequentate del Parco, d’Italia e d’Europa. Si può arrivare con ogni mezzo al ristorantino alberghetto da ogni parte, da Bisegna, da San Sebastiano, da Villalago, da Scanno, da Pescasseroli, dal valico”.

“Se si va a portare euro al ristorantino alberghetto gli orsi non sono infastiditi, anche se si percorrono i loro ultimi territori rimasti, e si può andare con qualsiasi mezzo, per gli orsi non è un problema. Secondo gli scienziati dell’Ente Parco gli orsi sono invece estremamente infastiditi (stressati) da un silenzioso sciescursionista sugli ampi pratoni della Rosa pinnola o da un solingo cavaliere che fa una passeggiata sulla sterrata del cimitero (dove passano le macchine, e poi comunque nel Parco ci sono migliaia di cavalli bradi), o da un escursionista con il suo cane di compagnia tenuto sotto controllo (quando vagano nel Parco centinaia di grossi cani da pastore in branchi feroci). Gli orsi abruzzesi sono fatti così, se c’è di mezzo l’euro (per “qualcuno”) gli orsi non hanno alcun problema“.

È evidente come il Corriere pur di attaccare politicamente la Provincia di Trento deforma la realtà e come ci sia anche una specie di sciacallaggio istituzionale tra diversi corpi dello Stato (si arriva addirittura a cercare di farsi pubblicità su una tragedia tremenda), mentre il Ministero Ambiente ed Ispra risultano totalmente assenti dalla necessaria, indispensabile, opera di omogeneizzazione tra regolamenti degli Enti Parco e Riserve in Italia. Non ci può essere in Italia una specie di feudalesimo per cui ogni Ente Parco regolamenta come vuole”.

“Come cittadini, escursionisti, scialpinisti, ambientalisti, amanti della natura, pretendiamo dagli Enti Parco e Riserve, dal Ministero, dallo Stato, rispetto, coerenza, equità, motivazioni scientifiche per obblighi e divieti. Non vogliamo che gli Enti Parco diventino comitati d’affari al servizio di gruppi di interesse locali”, conclude.

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