“Un tempo la tradizione e la devozione di Sant’Antonio abate, in un paese a forte vocazione agro-silvo-pastorale come Paganica, era molto viva e sentita – spiega il presidente Asbuc Fernando Galletti -, e gli animali rappresentavano, e rappresentano ancora, un valore economico, sociale e affettivo determinante. L’ultima edizione, prima dell’emergenza covid, ha riscosso un forte successo, con grande partecipazione anche da parte delle attività commerciali di Paganica. Poi però abbiamo deciso di interrompere per ragioni di sicurezza. Ora è nostra ferma determinazione riportare in auge questo appuntamento, perché sono queste tradizioni, che affondano le radici nel genius loci, a rafforzare il senso di comunità, la partecipazione alla vita pubblica e dunque anche il senso civico”.
Sant’Antonio abate, vissuto in Egitto dal 251 al 356 dopo Cristo, stando alla biografia di Sant’Atanasio, vescovo di Alessandria e suo discepolo, è stato un santo eremita nel deserto, dopo aver donato tutto quello che possedeva ai poveri. Visse 105 anni, dedicandosi alla preghiera e al digiuno, amante del silenzio e della solitudine, uomo per cui la vita terrena era solo una preparazione a quella eterna, tanto da rinchiudersi in fortezza romana abbandonata sul Mar Rosso per 20 lunghi anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all’anno, e che resistette alle tentazioni del diavolo, che lanciava sul suo cammino pepite d’oro, che il santo scalciava via come vili ciottoli.
Il legame della figura del santo con il fuoco e il maiale, è dovuta ai canonici regolari di Sant’Antonio di Vienne, ordine ospedaliero che
intorno all’anno Mille, curava tra le altre patologie, la dolorosa eruzione cutanea conosciuta come fuoco di Sant’Antonio, provocata in particolare dall’ingestione di segale, il cibo dei poveri, contaminata dal fungo claviceps purpurea, che poteva provocare anche delirio, allucinazioni e comportamenti violenti.