La pandemia ha reso evidente in Europa, in Italia e anche in Abruzzo, l’inadeguatezza dei sistema sanitari pubblici per far fronte a emergenze pandemiche di portata mai vista. Soprattutto a causa dell’insufficiente numero di posti letti negli ospedali, con la drammatica emergenza rappresentata dai nosocomi stracolmi e ad un passo dal tilt.
Ora in attesa che l’utilizzo dei fondi del Pnrr riesca finalmente a costruire in Italia una rete sanitaria e di medicina del territorio con strutture sanitarie diffuse – utili a decongestionare in modo strutturale gli ospedali, riducendo i ricoveri e favorendo dove possibile cure domiciliari e ambulatoriali- questa evidenza rappresentata dai tagli e razionalizzazioni che hanno depotenziato i sistemi sanitari, viene fotografata dai dati aggiornati dell’Eurostat, ed elaborati dalla fondazione Openpolis.
Nel 2010 in Ue erano disponibili mediamente 574,1 posti letto ogni 100mila abitanti nelle strutture ospedaliere. Una cifra che in 10 anni, è progressivamente diminuita, fino ad arrivare a 531,9 (con una differenza di oltre 42 letti ogni 100mila abitanti).
Un andamento simile si è registrato anche in Italia, dove da 364,3 letti nel 2010 si è passati a 316,3 nel 2019 (-48,1).
In Abruzzo il calo è stato del 18,7%: da 4.680 posti letto nel 2010 a 3.802 nel 2019.
Il Molise in particolare è stato la regione italiana che ha registrato il calo maggiore, passando da 1.381 posti letto nel 2010 ad appena 907 nel 2019 (un calo del 34,3%). Seguito dalla Calabria, passata da 6.324 a 4.723 letti (-25,3%) e dalla Puglia (-21,5%). La Sicilia rappresenta invece un’eccezione, con un calo di entità minore rispetto alla media nazionale (-8,9%). Per il resto, sono tutte settentrionali le regioni che hanno registrato i cali più contenuti – anche se la prima in questo senso è l’Umbria (-0,2% per 6 posti in meno). In nessuna regione si è invece registrato un aumento.
Meno posti letto, unita all’emorragia di professionalità e alla carenza di personale, a cui Abruzzoweb ha dedicato più di un articolo, è anche alla base della mobilità passiva, ovvero al numero di persone che sono costrette ad andarsi a curare in altre regioni, meglio attrezzate, sia in termini di posti letto che di qualità e potenza di fuoco di prestazioni.
Nel nostro Paese, che già nel 2010 aveva una disponibilità inferiore rispetto alla media, il calo è stato più pronunciato. È inoltre maggiore, nel 2019, lo scarto rispetto al resto d’Europa (nel 2010 c’era una differenza di circa 210 posti letto, nel 2019 questo dato è salito a 215,6). Comunque il momento in cui la forbice è stata più ampia è stato il 2014, quando la differenza era di 231 posti letto. Da allora si è verificata una graduale riduzione.
Nel 2019, il paese europeo che disponeva del numero più elevato di letti ospedalieri in rapporto alla popolazione era la Germania (791,5 posti ogni 100mila abitanti).
La seguivano la Bulgaria (774,1) e l’Austria (718,9). Mentre si posizionavano in fondo alla lista due paesi scandinavi: la Svezia, con 207,1 letti ogni 100mila abitanti, e la Danimarca, con 259,3.
Il numero dei letti d’ospedale in Europa sta progressivamente diminuendo. Questo trend prosegue anche nel 2019, stando all’ultimo aggiornamento Eurostat.
Se poi osserviamo i dati a livello nazionale, vediamo che sono pochi gli stati membri in cui invece la disponibilità è aumentata. Parliamo di Irlanda, Bulgaria, Romania e Portogallo.
In Irlanda in particolare si è registrato un aumento notevole, pari al 14,3%, passando da circa 12mila posti letto nel 2010 a oltre 14mila nel 2019. Un andamento simile si è verificato anche in Bulgaria, dove si è passati da circa 50mila a 54mila letti in 10 anni (+10,3%).
L’aumento è stato invece più contenuto in Romania e Portogallo (rispettivamente +1,5% e +1,2%), mentre in tutti gli altri stati membri dell’Ue c’è stato un calo. Quello di entità maggiore lo ha registrato la Finlandia, dove il numero di letti d’ospedale si è quasi dimezzato tra il 2010 e il 2019, passando da circa 31mila a appena 18mila unità.
Cali importanti si sono verificati anche nei Paesi Bassi (-23,5%) e in Danimarca (-22,3%). In Italia invece si è registrata una riduzione pari al 12,5% – il che la rende l’ottavo paese Ue sotto questo aspetto.