Tragedia nel carcere di Teramo. Un detenuto di 74 anni, che stava scontando una pena per un omicidio commesso con il figlio, si è tolto la vita in una cella del Castrogno. “Alle 7, il compagno di cella ha subito chiamato il poliziotto di servizio. Immediatamente sono scattati i soccorsi nel disperato tentativo di salvargli la vita, ma a nulla sono valsi gli sforzi profusi”, spiega Giuseppe Pallini, segretario del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria. “Per quanto si è potuto apprendere, si tratta di un soggetto ristretto che non è mai stato protagonista di intemperanze ed ha sempre osservato diligentemente le regole penitenziarie. Pertanto, nulla poteva far presagire una condotta autolesiva da parte sua”.
Il sindacalista evidenzia che “episodi simili, in un certo modo, portano con sé il fallimento del sistema penitenziario, talvolta incapace di intercettare il disagio dei più fragili che vedono nell’estremo gesto l’unica via d’uscita. Siamo costernati ed affranti: un detenuto che si toglie la vita in carcere è una sconfitta per lo Stato e per tutti noi che lavoriamo in prima linea”.
Per il Segretario Generale Donato Capece, si rendono sempre più necessari gli invocati interventi urgenti suggeriti dal SAPPE per fronteggiare la costante situazione di tensione che si vive nelle carceri italiane: “Si potrebbe ipotizzare un nuovo sistema penitenziario articolato su tre livelli: il primo, per i reati meno gravi con una pena detentiva non superiore ai 3 anni, caratterizzato da pene alternative al carcere, quale è l’istituto della “messa alla prova”; il secondo livello è quello che riguarda le pene detentive superiori ai 3 anni, che inevitabilmente dovranno essere espiate in carcere, ma in istituti molto meno affollati per lo sgravio conseguente all’operatività del primo livello e per una notevole riduzione dell’utilizzo della custodia cautelare. Il terzo livello, infine, è quello della massima sicurezza, in cui il contenimento in carcere è l’obiettivo prioritario”, evidenzia il leader del SAPPE. “Nell’ambito delle prospettive future occorre dunque che lo Stato, pur mantenendo la rilevanza penale, indichi le condotte per le quali non è necessario il carcere, ipotizzando sanzioni diverse, ridisegnando in un certo senso l’intero sistema, anche perché il sovraffollamento impedisce di fatto la separazione dei detenuti. E la Polizia penitenziaria, che riteniamo debba connotarsi sempre più come Polizia dell’esecuzione penale oltreché di prevenzione e di sicurezza per i compiti istituzionali ad essa affidati dall’ordinamento, è sicuramente quella propriamente deputata al controllo dei soggetti ammessi alle misure alternative”, conclude Capece.