“Trebbiano e Montepulciano d’Abruzzo con tutte le loro possibili varianti nelle vinificazioni possono ancora dare molto al territorio abruzzese. È vero che bisogna ridurre fortemente i trattamenti, per cui stanno arrivando vitigni resistenti alle fitopatie, ma bisogna puntare sui vini autoctoni e questo significa andare a ritrovare le aree vocazionali in cui questi vitigni esprimono al massimo le loro potenzialità. Mi piacerebbe insomma avere un Trebbiano e un Montepulciano resistenti alle fitopatie, e non dei vitigni che sono internazionali e caratterizzati da aromi genetici che spesso danno le stesse sensazioni organolettiche a prescindere da dove si coltivano”.
È la considerazione che il professor Leonardo Seghetti, agronomo di fama, ha portato all’attenzione del folto e attento pubblico che ha assistito all’incontro finale di “Terrae”, manifestazione che con la collaborazione di tre Università – Parma, Camerino e Teramo – e ben 21 cantine da ogni parte d’Italia e persino una dalla Champagne, ha animato l’intero weekend a Barrea (L’Aquila) con musica, teatro, workshop, videomapping, degustazioni e banchi d’assaggio con il tema dominante del vino e del pane.
“In Abruzzo c’è grande fermento perché ci sono tanti vitigni e molti giovani viticoltori si trovano davanti un panorama vitivinicolo che non è certo quello dei genitori o dei nonni che era incentrato su Trebbiano e Montepulciano”, ha aggiunto Seghetti, “ma si stanno riscoprendo tante varietà autoctone, basti pensare al Pecorino che è passato da pochi ettari degli anni Novanta ai circa 1.800 coltivati su 32mila ettari vitati di oggi, così come la riscoperta di tante varietà della montagna come il Montonico che si adatta benissimo alla spumantizzazione”.
“Oggi l’accoglienza diventa un punto importante per lo sviluppo del territorio, c’è molto da lavorare perché occorre un gioco di squadra”, ha commentato dal canto suo Nicola D’Auria, presidente regionale e nazionale del Movimento turismo del vino, intervenuto allo stesso incontro.
Nella tre giorni di Barrea si è parlato di alimentazione e cultura, nella convinzione che, per dirla con le parole del direttore artistico Paolo Tegoni, dell’Università di Parma, “il cibo è un pretesto per entrare in contatto con il prossimo e arrivare alle arti maggiori, alla musica e al teatro, per un Umanesimo di ritorno che fa la differenza”.
Al centro del dibattito anche due studi sull’alimentazione del passato: dall’esame dei resti scheletrici di un antico safino risalenti al VI secolo a.C., ritrovati in località Convento di Barrea nel 2011, condotto dall’Università di Camerino, è stato possibile ricostruire l’alimentazione dell’epoca che può tornare utile nell’attualità anche alla luce dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia Covid. Secondo lo studio “Centenari” dell’Università di Teramo, invece, è stato rilevato come nei borghi delle aree interne, nell’area del Parco nazionale d’Abruzzo e in quella della Maiella, la longevità deve molto alle abitudini alimentari soprattutto del passato.
“Queste tre giornate lasciano il ricordo di una serie di attività di alta qualità oltre alla vetrina di prodotti di eccellenza. Si sono messe le radici per una seconda edizione perché la manifestazione ha ottenuto un risultato andato oltre le aspettative grazie a un numeroso pubblico e a un incremento delle presenze turistiche”, ha commentato il sindaco, Andrea Scarnecchia.
“Terrae-La cultura del gusto a Barrea” è un’idea di Terrae Opificio Culturale Enogastronomico per il Comune di Barrea, aderente all’Associazione dei Borghi Autentici d’Italia, ed è realizzato grazie al sostegno di Parco nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, Regione Abruzzo, Pro Loco di Barrea, Sci Club Barrea, Cooperativa di Comunità di Barrea con la partecipazione di Università di Camerino, Università di Teramo, Associazione Gastronomi Professionisti, Forno Brisa e Lo Scrigno di Barrea.