Corsa contro il tempo per salvare il villino Cimarosa, un pezzo di storia dolorosa della prima guerra mondiale, quando nella zona nord di Avezzano c’era il campo di concentramento dei prigionieri austro-ungarici, sempre più deteriorato.
Per evitare la perdita di quel prezioso manufatto vincolato, non avendo la disponibilità economica per realizzare l’intervento di restauro conservativo, l’amministrazione Di Pangrazio tenta un’ultima carta: la vendita all’asta. Operazione che necessita del pass della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per l’Abruzzo: per questo il Comune, che sin dall’amministrazione Floris sta tentando di salvaguardare lo storico villino adiacente alla chiesa della Madonna del Passo, ha chiesto il rinnovo dell’autorizzazione all’alienazione apripista delle procedure per coinvolgere nell’intervento di restauro conservativo Fondazioni, Onlus o soggetti privati attraverso un’asta pubblica.
“L’Ente – afferma l’assessore Maria Teresa Colizza, che è anche socia della fondazione Carispaq – non dispone di risorse adeguate per poter effettuare un intervento di restauro conservativo, mentre il perdurare di tale condizione di degrado potrebbe portare al totale deperimento del manufatto determinando considerevoli perdite sia in termini patrimoniali che storico culturali: il villino rappresenta una delle ultime testimonianze legate al periodo bellico della prima guerra mondiale e quello che tale evento ha rappresentato in termini di contributo umano e sociale per la città di Avezzano”.
E’ volontà dell’Ente, quindi, recuperare l’immobile attraverso un attento restauro conservativo volto a “riqualificare urbanisticamente sia l’immobile che l’area circostante mantenendo una destinazione d’uso compatibile con il carattere storico artistico del villino Cimarosa”.
La costruzione con copertura in legno a falde inclinate è disposta su tre livelli (piano seminterrato, piano rialzato e piano primo): l’immobile non inutilizzabile per alcuna finalità pubblica o di pubblico interesse, dato il pessimo stato di conservazione, in più occasioni è stato occupato abusivamente. Una ragione in più per l’Ente per procedere con l’alienazione pro recupero con finalità culturali. Parola, quindi, alla Soprintendenza.