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A Camarda la magia del Presepe vivente

Per iniziativa dell’associazione culturale “Il Treo”, la XXXIV edizione del “Presepe Vivente” ha avuto molto successo

Domenica 28 dicembre 2025 si è svolta a Camarda, per iniziativa dell’associazione culturale “Il Treo”, la XXXIV edizione del “Presepe Vivente”. Il percorso ha preso le mosse dalla ariosa piazzetta di Piedi la Forma, dove, in un angolo alberato, ad intonare arie natalizie, era la “Corale L’Aquila”, per snodarsi poi, parallelamente alla strada del “Fossato”, lungo via delle Pagliara, via del Colle, via Camardella, quel piccolo dedalo di viuzze che ancora in un passato non lontano costituiva il ventre del grazioso villaggio, il suo cuore pulsante. In questi angoli che sanno di antico e di buono, di fatica e di poesia, all’entrata di piccole incantevoli grotte che un tempo fungevano da cantine, o di stalle che erano parte integrante della stessa abitazione, fantasia e realtà storica sembravano darsi la mano.

Ed ecco figuranti vestiti da briganti, muniti di archibugi, che inveiscono da dietro sbarre di ferro (una figura, quella del brigante, mai scomparsa dall’immaginario del mondo contadino abruzzese); ed ecco uomini e donne vestiti con abiti tradizionali a riproporre antichi e affascinanti mestieri artigianali, quali il fabbro, il funaro, il ciabattino, lo scalpellino, il bastaio, (in dialetto “Ju mmastàro”, colui che fabbricava o aggiustava il basto, “ju mmàʃtu”, la grossa rudimentale sella che veniva posta sulla groppa dell’asino, animale da soma indispensabile ai nostri contadini fino a cinquanta anni fa), lo scrivano (l’ “intellettuale” del paese cui nei tempi andati si ricorreva per farsi scrivere una lettera).

Inoltre scene di attività domestiche, quali la tessitura, la scardatura della lana, la conciatura del grano con un utensile anch’esso rudimentale, “ ju croveju”, consistente in un ampio telaio circolare di latta bucherellato, delimitato da una circonferenza di legno, che appeso tramite una fune al punto di convergenza di tre grossi pali poggiati sul terreno richiedeva mani di donne esperte per vagliare il grano dalle impurità; o la pasta fatta in casa, farina amalgamata con uova fresche, ammassata e poi spianata sulla tavola (la “spianatora”) con il mattarello, come facevano le nostre mamme e, ancor più, le nostre nonne.

In una stanzina due giovani donne si cimentano nella lavorazione del “tombolo d’Abruzzo”, antica stupenda tradizione della nostra terra, mentre in un altro piccolo locale altre donne impagliano corolle, che nei tempi andati servivano in casa per poggiare le conche piene dell’acqua attinta alla pubblica fontana o la caldaie (la “callara” nella denominazione dialettale). Ancora nei primi decenni del secolo scorso nei nostri paesi c’era spesso una donna, per lo più anziana, detta “la cherollara”, specializzata in questa singolare manifattura.

A differenza delle passate edizioni, quest’anno il percorso, dopo averci rituffato nella vita quotidiana delle passate generazioni, ha ripiegato sulla più larga via del Fossato, per poi condurci, attraverso la vezzosa piazzetta del Treo, con la sua monumentale fontana, alla piazza principale, antistante la chiesa parrocchiale.

Qui, come felice epilogo della manifestazione, è andata in scena una realistica rappresentazione del racconto evangelico, con Maria e Giuseppe che conducono un asinello con tanto di basto sulla groppa verso una capanna di legno sapientemente realizzata: una stalla come doveva essere quella di Betlemme, con un bue accosto alla mangiatoia e della paglia fresca pronta ad accogliere il Bambinello (che quest’anno era una bambina); mentre una voce narrante, con una dolce melodia a fare da discreta colonna sonora, rievocava il mistero antico e sempre nuovo di un Dio che si fa carne e sangue.

Anche quest’anno, lungo il cammino, a mitigare il freddo pungente, molti i punti di ristoro, nei quali si sono potute gustare saporite pizze fritte, deliziose ciambelline, e la “joncata”, fresco ed invitante “caseario” ancora allo stato fluido che si ricava da quel che resta nel fondo del recipiente quando le massaie preparavano forme di latticini di bovini o ovini per il consumo domestico. Sempre gradita, alla fine del percorso, la minestra con i tritoli, pasta ammassata con acqua e farina, nonché il piatto di cotiche e fagioli, gustosissimo e piccante al punto giusto. Il tutto innaffiato da ottimo “vin brulé”.

Camarda conserva il suo fascino tutto particolare, con i suoi vicoletti pieni di mistero, dove ad un orecchio attento risuonano voci antiche che non si sono mai spente; e con le sue grotte fiabesche, ove la fantasia può rivedere donne anziane e ragazze in fiore che nelle lunghe sere invernali attendevano con pazienza ai lavori a maglia e uncinetto.
Ad ammirarla dall’alto, dolcemente adagiata sulle propaggini del monte Intagliata, Camarda appare un grande incantevole presepe vivente. Anche quando non è Natale.

Foto di Antonio Giampaoli

Comunicato stampa

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