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Il 54% dei medici abruzzesi è in “burn-out”

Francesco Dentali, presidente Fadoi: "L'influenza del burn-out sulle malattie professionali è un fatto acclarato"

La passata pandemia ha sicuramente acceso i riflettori sul settore sanità in Italia, dalla carenza di personale ai problemi legati alla burocrazia negli ospedali. La Fadoi, Federazione dei medici internisti ospedalieri, ha voluto approfondire la condizione di medici ed infermieri italiani e su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari è emerso un quadro critico: il 49,6% del campione totale è in “burn-out”, la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri, l’incidenza è doppia per le donne. Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Il rovescio positivo della medaglia è rappresentato dalla larga maggioranza di medici e infermieri che nonostante tutto sono ancora gratificati dal proprio lavoro e dal rapporto con i pazienti. Tali dati sono stati presentati a Milano al 28° Congresso Nazionale della Federazione.

Per quanto riguarda l’Abruzzo il 54% dei medici internisti riferisce di provare un insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente, e dichiara di aver pensato di licenziarsi nell’ultimo anno (50%). Sempre la metà riferisce di sentirsi emotivamente sfinito mentre il 59% di lavorare troppo duramente. Il 61% dichiara di essere sfinito al termine di ogni giornata lavorativa, il 47% di essere frustato dal proprio lavoro e il 49% esaurito.

Fortunatamente, nonostante i dati preoccupanti, i medici non perdono la passione nella professione, infatti il 70% riferisce di affrontare efficacemente i problemi dei propri pazienti e di influenzare positivamente la vita di altre persone attraverso il proprio lavoro, il 65% di aver realizzato molte cose di valore e il 68% si rallegra dopo aver lavorato con i pazienti. Poco più della metà (54%) teme che il proprio lavoro possa con il tempo indurirlo emotivamente.

Si legge nel report Fadoi: “Depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, carichi di lavoro impossibili da gestire; il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto con competenza professionale si fa, un numero di pazienti per medici e posti letto che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i pazienti e la burocrazia che rende tutto ancora più difficile. Da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri. Una situazione che rappresenta una minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario

“L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica – afferma Francesco Dentali, Presidente Fadoi – il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”.

Il Presidente Fadoi aggiunge: “Il senso di attaccamento alla propria mission e la realizzazione di se in un lavoro che nonostante tutto e tutti salva vite e aggiunge qualità agli anni di ciascuno è ciò da cui bisogna ripartire se veramente si ha a cuore il destino della nostra sanità pubblica. Per farlo occorre rendere nuovamente attrattive tra i giovani tanto la professione medica che quelle infermieristica. Portando a un livello di dignità professionale retribuzioni che sono tra le più basse d’Europa, ma riqualificando anche formazione e condizioni lavorative”, conclude il Presidente Fadoi

Nursing Up, come sindacato infermieri italiani, sottolineava già quattro anni fa la situazione degli ospedali che stavano diventando “terreno fertile” per malesseri che non potevano, e che non possono essere sottovalutati. Così Antonio De Palma, Presidente Nazionale del Nursing Up.

“Un drammatico paradosso esiste da tempo e rischia pericolosamente di trascinare gli infermieri e gli altri professionisti della sanità in un vortice senza fine. Essere consapevoli, da un lato, di essere titolari, alla luce delle proprie competenze, alla luce della propria crescente autonomia, di un alveo di importanti responsabilità, ma di fatto, dall’altro, non essere messi in grado, incredibilmente, di realizzare le proprie potenzialità professionali”

“Una situazione che è esplosa – continua De Palma – dal momento che gli operatori sanitari pagano più che mai a caro prezzo, fisicamente e psicologicamente, i turni massacranti, la disorganizzazione, la carenza di personale. Senza dimenticare che le aggressioni subite, le minacce, gli abusi sessuali, nell’ambito di quei dati schiaccianti e lapidari che vi raccontiamo con triste periodicità, in uno scenario inimmaginabile per un luogo di cura della salute, minano nel profondo la serenità di uomini e donne, prima ancora che di professionisti. Tutto questo equivale, come detto, a cocente insoddisfazione, desiderio legittimo di fuggire verso scenari più gratificanti, ma soprattutto nel “pensiero fisso”, che rischia di sfociare in concreta realtà, di dimissioni volontarie da un pianeta, quello della sanità italiana, che come detto non è più a misura di infermieri”.

“Ed eccoli i dati allarmanti della sindrome di burnout, quella che il nostro sindacato denuncia da tempo: un terremoto che ti lacera dentro, ti sfianca anima e mente, e che alla fine diventa un colpo di mannaia per la già precaria qualità delle cure in Italia”.

“Chi combatterà al fianco dei malati e dei soggetti fragili? E’ questo ciò che dovrebbero chiedersi Governo e Regioni. Centinaia di infermieri, negli ultimi mesi, nel nostro Paese, hanno deciso di abbandonare la professione con dimissioni irrevocabili. I numeri parlano chiaro e sono confortati da numerosi studi, che confermano addirittura come a livello europeo il trend negativo è destinato pericolosamente a peggiorare. Il 34,4% dei professionisti prevede addirittura di lasciare il posto di lavoro dopo un solo anno dall’assunzione e il 43,8%, nella migliore delle ipotesi, invia una richiesta di trasferimento, chiedendo di lavorare in reparti dove lo stress traumatico possa avere un impatto meno invasivo sulla propria vita personale”.

Conclude De Palma: “Chi fermerà tutto questo? Chi porrà la parola fine a questa parabola discendente? E’ lecito chiederselo”

G.Mon

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