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“Una vita per gli altri”: l’anarchico abruzzese che lottava con gli operai d’America

Umberto Postiglione, l'abruzzese emigrato in America, è un esempio da far conoscere. Il libro è firmato da Edoardo Puglielli, giovane storico.

L’esempio degli uomini saggi, l’esempio degli uomini della nostra terra, che tanto hanno dato, anche altrove, lontano dalla propria casa natale. Ma con le stesse radici nel cuore. “La vita per gli altri” è un libro scritto dal giovane storico abruzzese Edoardo Puglielli sulle vicende umane di Umberto Postiglione: un ragazzo abruzzese emigrante negli Stati Uniti d’America ai primi anni del secolo scorso. Attivo nelle lotte operaie, culturalmente preparato ed esempio di dedizione e di disinteresse personale, è morto giovanissimo, all’età di 31 anni.

MA CHI E’ UMBERTO POSTIGLIONE? – Nato a Raiano, in Abruzzo, il 25 aprile 1893, frequenta la scuola elementare, la scuola tecnica e consegue il diploma di ragioniere a L’Aquila. All’età di 17 anni decide di emigrare negli Stati Uniti, partendo il 3 ottobre 1910. L’8 ottobre si imbarca dal porto francese di Le Havre e sbarca a New York il 18 ottobre. Uno dei venti milioni di immigrati negli Stati Uniti, tra il 1870 e il 1930. Tra loro numerosi italiani, come racconta Edoardo Corsi, abruzzese di Capestrano, nel libro “Storia dell’emigrazione” o Giuseppe Prezzolini nei “Trapiantati”. Soprattutto tra gli abruzzesi, vi furono vari testimoni che raccontarono le loro esperienze di emigranti.

La linea anarchica è quella che caratterizza la persona e l’opera di Umberto Postiglione. Ideologia ed esperienza presentate nel libro di Edoardo Puglielli, “L’autoeducazione del maestro – Vita di Umberto Postiglione”, nella collana di studi storici dell’Istituto Abruzzese per la Storia della Resistenza e dell’Italia contemporanea (D’Abruzzo, edizioni Menabò). Una panoramica storica estremamente vasta, articolata, minuziosa, con l’acribia di uno storico, attento ai numerosi documenti d’archivio e alle varie biografie, edite e inedite, del personaggio. Ne risulta un lavoro che coglie meravigliosamente l’uomo Postiglione, la sua fede politica, la sua azione di elevazione sociale, la sua dedizione alla lotta dei lavoratori per ottenere un salario dignitoso o per migliorare le condizioni d’un lavoro da schiavi.

Postiglione è stato una voce che gridava da ogni “pulpito”, alto o basso, per informare e stimolare gli ascoltatori ad aderire alle sue idee. Idee fondate sulla verità e sul benessere di tutti. Parlava in maniera sincera, emozionante. Il parlare franco, come la parresia degli antichi greci. Nella sua opera “Scritti sociali”, alla presentazione Venanzio Vallera scrive: “Postiglione possedeva una carica di vitalità al servizio dei lavoratori tutti, particolarmente di quelli emigrati per modificare, meglio per sovvertire il sistema di ingiustizia, di sfruttamento e di ignoranza cui erano costretti”. È presente nei più importanti scioperi realizzati nelle varie città americane: un elenco numerosissimo di città e un numero altrettanto numeroso di ascoltatori da raggiungere, migliaia e migliaia. Scrive su numerosi giornali e su riviste di stampo anarchico. La più famosa, “Cronaca sovversiva”. Durante la prima guerra mondiale, la rivista si schierò contro il ritorno degli italiani. Su 400.000 italiani che avrebbero dovuto rimpatriare, ne ripartirono 65.000. Circa il 15%. Il periodo della prima guerra mondiale fu il più critico e reazionario, a causa delle leggi contro i disertori. Numericamente la stragrande maggioranza optò per la diserzione, ma si rispose con la costrizione ad abbandonare gli Stati Uniti.

Umberto Postiglione lasciò gli Stati Uniti, dirigendosi prima in Messico e poi in varie nazioni del Sud America. Si reca in Bolivia, Paraguay, Uruguay. Poi in Nicaragua e Costa Rica, dove stabilisce una grande amicizia con un abruzzese, Ettore De Benedictis. Si avvicina e approfondisce la filosofia di Emerson. Il 7 ottobre 1919 torna in Italia. Era rimasto in America, tra Nord e Sud, nove anni. Un tempo che lo aveva segnato come emigrante e come combattente per una società a misura d’uomo. Di animo estremamente sensibile, stabilisce piena coerenza tra sentimento e ideologia, tra poesia ed esistenza. Tornato in Italia fu subito costretto a prestare il servizio militare. Venne congedato il 1ᵒ aprile 1921.

Propone una “casa del popolo” a Raiano. Partecipa al primo concorso magistrale in Abruzzo e lo supera ottimamente. Ha la fortuna di incontrare un bravo provveditore agli studi, Giovanni Ferretti, giudicato da Piero Calamandrei come “il più giovane provveditore d’Italia”. Scriverà parole di stima e di ammirazione nei confronti di Postiglione, al quale ebbe l’onore di assegnare la prima classe della scuola elementare di San Demetrio nei Vestini, in provincia dell’Aquila. Scriveva poesie in dialetto raianese, apprezzate e recitate dai raianesi.

Nei primi giorni di marzo del 1924, da Rocca di Mezzo, sommersa dalla neve, dove si trovava con alcuni amici, cerca di tornare a piedi a L’Aquila. Nei giorni successivi partecipa ad una riunione di insegnanti a Barisciano e cerca di tornare a San Demetrio, nonostante un vento freddissimo. Giunto a casa, avverte i sintomi della polmonite, che in pochi giorni, il 28 marzo 1924, lo condurrà alla morte. In un brano, dal titolo “L’Abruzzo Nostro”, termina con queste parole: “Quando fatto grande, tornando di lontano, dalle vie del mondo, tu ti riavvicinerai a questa tua terra e vedrai apparire la Maiella, come un altare tagliato nell’azzurro, ornato a festa con le sue frange e con i suoi merletti di neve scintillanti al sole, ti sentirai battere il cuore e inumidire gli occhi, come se la voce del sangue ti chiamasse. E ti parrà di vedere tua madre”.

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